«Dov’è la giustizia?». È la domanda che guida da sempre don Matteo Galloni, 62 anni, “turbolento” da quando ne aveva 4 e per questo mandato all’asilo dalle suore. Ha provato a rispondere con il Vangelo in mano: «Credere vuol dire impegnarsi, amare e fare famiglia».
Fino a fondare la comunità “Amore e Libertà”, che oggi tra Firenze e il Congo conta 36 membri e centinaia di amici e volontari che la sostengono. Tecnicamente un’associazione privata di fedeli riconosciuta dalla diocesi fiorentina, di fatto una grande famiglia dove persone consacrate, sacerdoti, coppie sposate, bambini e ragazzi camminano insieme alla ricerca continua di Dio, attraverso l’amore per i poveri.
L’avvio risale al 1989, quando quattro tredicenni di un istituto dissero a don Matteo: «Noi siamo i perdenti della vita, siamo senza futuro e speranza, non abbiamo mai avuto una famiglia, un papà. Ma se tu ci prendi a vivere con te, ci fai da babbo, possiamo cambiare vita». Il sacerdote li prese in casa, insieme a Francesca, sua ex alunna, consacrata e cofondatrice della comunità.
LA NASCITA DI UNA VOCAZIONE
Da giovanissimo don Matteo, nato a Roma nel 1954, aveva tutto: è il primo della classe (va a scuola un anno prima), il motorino a 14 anni, il record regionale di atletica a 15, la fidanzata. Suo padre era Giovanni Galloni, noto esponente della Democrazia Cristiana, ministro e giurista.
La sua adolescenza coincide con gli anni del Concilio e delle proteste studentesche: partecipa alle marce per la pace Perugia-Assisi, ai campi di raccolta stracci per il Biafra e il Sud Sudan. Ma tutto questo non gli basta: in seconda superiore viene a sapere che al Quarticciolo c’erano trecento famiglie molto povere. Erano le baraccopoli romane narrate da Pasolini, un ambiente pericoloso: «Una volante della polizia, che aveva cercato di entrare per calmare una rissa, era stata rovesciata e bruciata». Matteo entrò in motorino: «I bambini di 10 anni non andavano a scuola e non sapevano né leggere, né scrivere; vivevano in bande ed erano avviati al furto o alla prostituzione».
Su una baracca c’era una scritta: «Vendesi». La comprò: «Era appena morto don Lorenzo Milani, di cui avevo poco prima letto Lettera a una professoressa». Insieme alla sua ragazza e alcuni amici cominciarono a insegnare: «La chiamammo “Scuola della libertà”, aperta 365 giorni l’anno. Una dopo l’altra comprammo dieci baracche e il volto di quella borgata cambiò». Lì si fece nitida la sua vocazione: «Alla domanda: “Cosa fa il Signore per i poveri?”, trovai la risposta: “Ha chiamato me”».
A 17 anni arriva l’ultimo anno del liceo classico. Matteo andava ogni pomeriggio in borgata e i genitori temevano la bocciatura. «E se alla maturità prendessi il massimo dei voti?», chiese quasi scherzando. «Nel caso, seguirò il Signore lasciando tutto». Tra gli orali e gli scritti raggiunse i suoi ragazzi in vacanza al mare (aveva venduto il motorino e acquistato un furgone), ma poi finì che prese 60/60, unico di tutta la scuola. Alla pubblicazione dei quadri, la madre andò in segreteria a chiedere se si fosse trattato di un errore. A quel punto Matteo annunciò ai genitori che andava a vivere con i poveri in borgata; partì di casa con una busta di plastica e un cambio di vestiti, con Francesco d’Assisi come modello, anche lui cresciuto in una famiglia ricca.
Poi prese due lauree, lavorò un anno in cantiere come manovale e due anni come operaio nelle ceramiche a Sassuolo. Nel 1986 divenne sacerdote; da due anni insegnava religione e aveva conosciuto alcuni degli alunni che poi entrarono in “Amore e Libertà”: Leonardo De Angelis, oggi parroco a Settimello (Firenze), e Francesca Termanini. «Con lei, che era atea e figlia del sindaco comunista di Sassuolo, nel 1989 accogliemmo i primi ragazzi conosciuti alla Madonnina del Grappa di don Carlo Zaccaro».
Ancora oggi Francesca, che nel frattempo si è consacrata, guida la casa madre della comunità a Firenze dove sono accolti bambini poveri, malati, inviati dai servizi sociali o privi del sostegno della famiglia, e dove ha sede un centro socio-educativo per il quartiere. Sempre nel capoluogo toscano “Amore e Libertà” sta aprendo una casa per giovani maggiorenni nel periodo di pre-autonomia.
LA MISSIONE IN CONGO
Don Matteo ora si divide fra Firenze e Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, dove ad “Amore e Libertà” è stata affidata una parrocchia di 90 mila abitanti. L’avventura africana è iniziata nel 1997: l’anno prima, visitando la capitale del Congo, don Matteo e madre Francesca avevano visto una bambina con i piedi sanguinanti e i loro accompagnatori avevano spiegato: «Sono i bambini di strada: dormono sull’immondizia, se hanno il sonno pesante i topi gli rosicchiano i piedi».
Iniziarono a costruire una casa per loro. Sulle rive dell’Arno come in Africa i riferimenti di “Amore e Libertà” non cambiano: «La Trinità ha essenza divina, ma si manifesta nella famiglia di Nazaret», dice don Matteo. «Così noi vogliamo vivere come una famiglia all’interno della Chiesa, come figli di Dio e fratelli in Cristo. A volte, invece, in parrocchia mancano amicizia e fraternità». Nel Vangelo Gesù dice: “Mia madre e i miei fratelli sono quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica”. Questo», continua il sacerdote, «è il fondamento spirituale della nostra famiglia, che include anche chi non vive nella comunità ma la sostiene con amicizia, volontariato e aiuto. L’altro riferimento sono gli Atti degli apostoli: appena Gesù inizia la vita adulta, raduna i discepoli, le pie donne e i bambini. Dio, insomma, crea comunità».
INFORMAZIONI
Sul sito www.amlib.org o al telefono 055.20.24.52 è possibile avere informazioni sulla comunità, su come diventare volontari, come sostenere “Amore e Libertà”, come adottare a distanza un bambino.
Fonte www.credere.it/Stefano Pasta
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