Categorie: Italiae et Ecclesia

Don Mennini conferma: non confessai Moro

“Non ho mai confessato Aldo Moro durante i 55 giorni del sequestro, né sono mai stato nel covo delle Brigate rosse dove era prigioniero”. Così monsignor Antonello Mennini, nunzio apostolico in Regno Unito, ha confermato il suo racconto davanti alla nuova Commissione d’inchiesta sul “caso Moro”.

L’arcivescovo, allora parroco di Santa Lucia e amico e confessore del presidente della Dc, non ha dunque fornito alcuna novità rispetto alle altre sette volte nelle quali era stato interrogato tra procure, corti d’assise e commissioni parlamentari d’inchiesta, tra il 1978 e il 1993.

Confermato anche il suo ruolo di “intermediario” per far pervenire le lettere di Moro alla famiglia. Non l’unico, come sottolineato dal presidente della Commissione, Giuseppe Fioroni: “È emerso un fatto nuovo ed inedito: c’era, come si è detto più volte ma mai provato, un canale di ritorno, cioè una persona che poteva fare da tramite tra il sequestrato e la famiglia, ma questo non si trovò più intorno alla data del 5 maggio del 1978”, un fatto che potrebbe aver accelerato la decisione finale delle Br.

“Che ci fosse il canale di ritorno – ha detto il parlamentare – oggi è una certezza. Se prima pensavamo che fosse proprio monsignor Mennini, oggi sappiamo che era un’altra persona. È lo stesso brigatista Valerio Morucci, che si identificava nelle sue telefonate alla famiglia come il professor Nicolai, il 5 maggio a lasciare un messaggio al sacerdote – secondo quanto ricostruito dallo stesso Mennini – nel quale afferma che la persona da contattare non è stata rintracciata e che, quindi, il canale di ritorno si è interrotto”.

Una comunicazione che precede la lettera inviata dallo stesso Moro alla sua famiglia nella quale si annuncia che la trattativa non ha più sbocchi e che la sua sentenza di condotta è stata, quindi, emessa. Un fatto che, comunque, non riguarda Mennini che, come detto, ha confermato, quanto già affermato più volte. “Purtroppo non ho avuto la possibilità di confessare Aldo Moro nei 55 giorni del sequestro. Nella coscienza dei miei doveri sacerdotali ne sarei stato molto contento”.

Poi, di fronte alle insistenze dei membri della commissione, ha ulteriormente precisato: “In ogni caso se avessi avuto un’opportunità del genere credete che sarei stato così imbelle, che sarei andato lì dove tenevano prigioniero Moro senza tentare di fare niente? Sicuramente mi sarei offerto di prendere il suo posto, anche se non contavo nulla , avrei tentato di intavolare un discorso, come minimo di ricordare il tragitto fatto. E poi, diciamo la verità di che cosa doveva confessarsi quel povero uomo dopo tutto quello che aveva dovuto subire?”.

Insomma nessun segreto, anche sacramentale. “Di un’eventuale confessione non avrei potuto dire nulla, né sui contenuti né sulla circostanze temporali e logistiche, ma non avrei difficoltà alcuna ad ammettere di essere andato nel covo delle Br. È che non ci sono mai stato”. Insomma una “leggenda metropolitana che persiste, purtroppo non ho mai incontrato Moro per consolarlo”, ha detto il Nunzio, un concetto ribadito almeno tre volte nell’audizione.

Una netta smentita delle affermazioni di Francesco Cossiga, allora ministro dell’Interno. “Non so – ha aggiunto Mennini – perché Cossiga disse che io invece avevo visto Moro e lo avevo confessato. Poi ha sbagliato sul fatto che il mio telefono non fosse sotto controllo: lo fu dal 21 aprile e ben oltre il 9 maggio”.

Anche se proprio la bobina con la telefonata del 5 maggio risulta scomparsa. Ma anche per il nunzio un sacerdote potrebbe essere davvero andato nel covo delle Br. “Parlandone con la moglie di Moro ipotizzammo che, forse, il prete di cui si parlava era un sacerdote amico di questi mascalzoni”.

Infine Mennini ha confermato anche l’impegno di Paolo VI. “Il Papa voleva che Moro fosse liberato, che si trattasse, ma il clima non era favorevole: c’erano adunanze oceaniche dei sindacati che chiedevano di non cedere, le trasmissioni radio di Gustavo Selva sbilanciate per il “no”, La Malfa che parlava di pena di morte, il governo e lo stesso Pci attestati sulla linea della fermezza. Che avrebbe potuto fare il povero Papa, che a quei tempi tra l’altro stava già male, come avrebbe potuto imporre una posizione diversa?”.

Ha ricordato poi di essere venuto a sapere “due o tre anni dopo che Paolo VI aveva chiesto di mettere a disposizione 10 miliardi di lire perché non so quale fonte aveva fatto balenare le possibilità che le Br potessero accontentarsi di un riscatto. Certo, io avrei trattato, ma io non contavo: si sarebbe potuto convocare le Camere, prendere tempo, immagino lo stesso Moro sperasse che prima o poi la polizia arrivasse alla sua prigione… Come mai è stato detto no a tutto? Se Fanfani avesse detto “trattiamo” si sarebbero fermati”.

Fonte. Avvenire

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