Riapre con la mostra “Santa Maria Antiqua. Tra Roma e Bisanzio” fino all’11 settembre 2016, dopo oltre 30 anni di chiusura al pubblico, una chiesa unica nel patrimonio storico-artistico italiano. Promossa dalla Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’Area Archeologica di Roma, con Electa, curata dalla prof.ssa Maria Andaloro, dalla prof.ssa Giulia Bordi e dall’arch. Giuseppe Morganti.
Una chiesa che viaggia attraverso il tempo e la storia. Costruita sfruttando i vasti ambienti architettonici che costituiscono l’ampliamento della domus tiberiana realizzati da Caligola e successivamente rifatti dall’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), l’ambiente, che già si adattava alla funzione, viene riatto trasformando lo spazioso quatriportico in tre navate, con in fondo un presbiterio, mentre l’abside fu scavata nello spessore del muro solo in un secondo tempo.
Consacrata nel VI secolo d.C. Vede al suo interno l’evolversi di diversi cicli pittorici legati a 5 papi, fino all’abbandono nell’anno 847 a causa di un terremoto. Il primo ciclo decorativo riscontrabile nel presbiterio ed in molte aree della navata centrale, è legato a papa Martino I (649-653).
Papa Giovanni VII (705-707) fa decorare nuovamente il presbiterio, la Cappella dei Santi Medici (Cosma e Damiano) e inserisce scene dell’Antico Testamento sui sedili del basso coro, ma soprattutto la eleva a basilica nonché Cappella Palatina, mossa politicamente astuta, in quanto prende possesso di luoghi che erano identificati con il potere.
La cappella di Teodoro è del periodo di papa Zaccaria (741-752), che prese i primi contatti con la corte dei Franchi, preludio del futuro distacco dall’impero bizantino. Papa Paolo I (757-767) ordinò le ultime decorazioni dell’abside, nonché gli estesi ciclo pittorici del Vecchio e Nuovo Testamento che decorano le navate laterali. Gli ultimi interventi pittorici risalgono al pontificato di Adriano I (772-795).
Poi il terremoto. Siamo nell’anno 847, e crolli all’interno dell’edificio portano all’abbandono ed alla rifondazione vicino al tempio di Venere e Roma come Santa Maria Nova. Da questo momento la chiesa è dimenticata, il buio cala su di essa.
E’ nel 1900 che l’archeologo Giacomo Boni riesce finalmente ad individuarne l’esatta localizzazione grazie a degli acquerelli di Valesio, disegnati in occasione dell’occasionale ritrovamento dell’abside nel 1702. Boni demolisce la chiesa barocca di Santa Maria Liberatrice (non sappiamo oggi se avrebbe avuto questa possibilità) e ritrova l’antica chiesa, ricostruendo muri, volte a botte, creando un tetto a capriate, staccando una piccola superficie di brani di affreschi e restaurando gli affreschi.
La precedente campagna di restauri parte dagli anni ’80, che interessando anche la parte strutturale, porta alla chiusura dell’ambiente, motivo per il quale la maggior parte delle persone conosce Santa Maria Antiqua grazie ai libri di storia dell’arte. Dobbiamo aspettare fino al 2001, quando grazie a finanziamenti statali e ad un cofinanziamento del World Monuments Fund, si apre il progetto di conservazione e valorizzazione “Santa Maria Antiqua”, sviluppato in diagnosi, consolidamento di dipinti murali ed intonaci non dipinti, restauro della Cappella dei Santi Medici, della Cappella di Teodoro, delle rimanenti superfici dipinte ed architetture, interventi pavimentali e su sarcofagi.
Per una persona che, come me, entra per la prima volta in questa chiesa, ogni angolo è una scoperta. Maestosa appare per prima la monumentale Imago Antiqua, più nota come Icona di Santa Francesca Romana, una odigitria dexiokratousa, probabilmente la più antica di Roma, di VI, se non addirittura V secolo, dall’aspetto forse un po’ buffo poiché sovrapposizione di lacerti dell’icona originale, salvati dal terremoto ed incollati su una nuova tavola di epoca tardo cinquecentesca, restaurata negli anni ’50 da Pico Cellini.
Questa è uno dei prestiti più illustri alla mostra, un temporaneo ritorno a “casa” dopo dodici secoli. L’apparato decorativo è unico nel suo genere, sviluppato in diversi momenti e sovrapposizioni, visibile soprattutto sulla parete denominata “palinsesto”, alla destra dell’abside, con la stratigrafia più complessa di tutto l’ambiente: sette strati di cui quattro dipinti ed uno con tracce di colore.
Ad aiutare il visitatore che abbia difficoltà nel comprenderla, rendendola più leggibile, la tecnologia digitale è intervenuta con l’innovativo light mapping, che isola i diversi strati, mentre il video mapping, utilizzato per la prima volta al Foro Romano, restituisce in maniera immersiva le parti mancanti dell’apparato decorativo delle due cappelle ai lati del presbiterio.
Inoltre un percorso multimediale guida attraverso la storia dell’edificio e delle sue pitture. Allestiti, per la mostra, anche ritratti scolpiti dei regnanti dell’epoca di fondazione della chiesa, e quattro mosaici staccati che decoravano nell’antica San Pietro l’oratorio di papa Giovanni VII. In occasione della mostra, l’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro ho curato il restauro del mosaico della Vergine con Bambino, San Giuseppe ed un angelo, custodito nella sagrestia di S. Maria in Cosmedin, fortemente voluto dai curatori della mostra, dalla Sovrintendenza e realizzato grazie al contributo di Electa.
Prendete il vostro tempo, entrate e respirate la meraviglia dell’antico a pieni polmoni.
(Le foto sono di Gaetano Alfano ) di Alessandra Argentino per L’Eurispes
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