Si tratta di un rarissimo caso di risveglio senza somministrazione di farmaci. La mamma: “È un miracolo, ma i miracoli avvengono dove c’è fede e amore”
C’è un sottilissimo filo di speranza che tiene legate due date: il 15 maggio 2010 e il 31 marzo 2015. Quasi cinque anni di patimenti per la famiglia Grena, che è rimasta unita al capezzale del figlio Giorgio, ridotto in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale.
Ha ventidue anni, Giorgio, quando sulla A4, nei pressi di Bergamo, è coinvolto in un terribile scontro automobilistico che gli provoca dapprima un forte trauma cranico e poi anche il coma. Per mamma Rosa e papà Gianluigi l’inizio di un periodo caratterizzato dalla sofferenza, peregrinando da un ospedale all’altro nell’attesa di un’agognata svolta.
Ma non sortisce nessun effetto sperato la spola tra la Rianimazione dell’ospedale di Bergamo, l’Unità del Risveglio della Maugeri di Pavia, la neurochirurgia di Castellanza e la Casa di Cura Quarenghi di San Pellegrino per la riabilitazione. Le parole dei medici suonano ogni volta come una sentenza durissima da accettare: lo stato vegetativo di Giorgio non gli consente alcuna interazione con l’ambiente circostante.
La situazione tragica non svilisce però la fede profonda di una famiglia radicata in Gesù Cristo. Mamma Rosa prega Dio ogni giorno, dicendo: “Signore, Tu puoi fare tutto. So che un giorno ci stupirai”. Intanto i giorni passano, e si profilano per la famiglia Grena anche decisioni da dover prendere.
Nel 2011 i medici mettono i genitori di fronte a un bivio: la lungodegenza in un istituto oppure il ritorno tra le mura domestiche. “Non ci ho pensato neanche un secondo, Giorgio doveva stare a casa sua. L’abbiamo attrezzata a dovere e l’abbiamo accudito ogni giorno, ogni mese, ogni anno con immutato affetto, anche se non c’erano reazioni apparenti”. Così mamma Rosa, che domenica ha raccontato la storia di Giorgio al Casinò di San Pellegrino Terme, nel corso dell’annuale incontro sulle cure per la riabilitazione organizzato dall’Associazione Genesis per il recupero dell’handicap da trauma cranico, che dal 1989 afferisce alla Casa di Cura Quarenghi e si batte per tutelare la dignità e i diritti delle persone in stato vegetativo e di minima coscienza.
Senza orgoglio ma con fede autentica, mamma Rosa racconta di non aver pianto e di non essersi chiesta perché fosse accaduto proprio alla sua famiglia di vivere questa tragedia. “Ho solo pregato incessantemente – spiega – la fede è stata il collante di tutto il cammino perché mi ha dato la certezza che a Giorgio prima o poi sarebbe accaduto qualcosa di grande”.
Certezza che inizia a colorarsi di luce concreta il 31 marzo scorso. Dopo un lungo “calvario”, nel giorno del martedì santo, a pochi giorni dalla Pasqua, si avverte da parte di Giorgio un primo segnale di “resurrezione” dal coma. Si registra un progressivo coinvolgimento con l’ambiente circostante, il giovane ricomincia a parlare rispondendo alle domande di familiari e medici.
Oggi il suo risveglio non è più un sogno, ma una realtà che chi era presente all’incontro di domenica al Casinò di San Pellegrino Terme ha potuto vedere con i propri occhi. Ha assistito a tutto il convegno, Giorgio, tenendo sulle ginocchia la nipotina Ginevra, che affettuosamente chiama “la mia principessa”.
Il “farmaco” che ha fatto rifiorire questo giovane fiore è l’affetto familiare. Diversi medici sono concordi nel ritenere che sia determinante, in certi casi, vivere in casa con la famiglia, mantenendo relazioni affettive forti. Il dott. Salvi, a questo proposito domenica scorsa non ha voluto parlare del caso clinico, bensì ha raccontato la storia, lasciando agli ascoltatori la possibilità di “trarre le proprie conclusioni”.
Conclusioni che mamma Rosa ha già tratto, in cuor suo. Afferma senza esitare che il risveglio del figlio Giorgio “è stato un miracolo”. E aggiunge: “Ma i miracoli avvengono perché ci sono la fede e l’amore”.
di Federico Cenci per Zenit.org