Se la Pentecoste è la festa dell’unità e della riconciliazione, bene hanno fatto le Chiese ortodosse a scegliere il 19 giugno come data per celebrare il loro santo e grande Concilio. Di invocazione allo Spirito, di preghiera e di serrato lavorìo diplomatico ci sarà infatti bisogno perché possa andare felicemente in porto la grande assise panortodossa, attesa da oltre mille anni, che si tiene a Creta dal 19 al 26 giugno.
Alla convocazione del patriarca Bartolomeo, il primate di Costantinopoli, hanno infatti risposto solo dieci tra primati e metropoliti a capo delle 14 Chiese che dovrebbero essere in comunione tra di loro. In quattro, all’ultimo momento, hanno deciso di non partecipare. Per capire cosa sia successo bisogna fare un piccolo passo indietro. Il Concilio panortodosso era atteso da tempo. Qualcuno ci aveva provato, non molti decenni fa (a Rodi, l’ultima volta, nel 1961), ma alla fine si preferì desistere perché la carne al fuoco era tanta e i rischi di ulteriori fratture dietro l’angolo.
A differenza della Chiesa cattolica, infatti, quelle ortodosse sono autocefale (vale a dire, indipendenti nella propria amministrazione, ciascuna guidata dal suo primate o metropolita), non hanno un “Papa”, un’autorità centrale che decide, anche se riconoscono al Patriarca di Costantinopoli un “primato d’onore” . Cosa questo voglia dire nei fatti è tutto da chiarire, perché da questa definizione – che coinvolge anche i rapporti con il Papa, il “primate” di Roma, – derivano una serie di questioni poco spirituali e molto concrete. Che vanno dalla politica nazionale a quella internazionale, dai rapporti ecumenici a quelli economici. Le 14 Chiese canoniche autocefale, che si trovano in comunione tra loro, avevano comunque deciso in gennaio, in Svizzera, a Chambésy, la data, il luogo, le regole procedurali e i documenti da portare in discussione al Concilio.
Si tratta di cinque testi che hanno ottenuto l’unanimità – la missione della Chiesa nel mondo contemporaneo, la diaspora ortodossa, l’autonomia delle Chiese e il modo di proclamarla, l’aggiornamento delle norme sul digiuno e i rapporti con le altre Chiese cristiane -, e uno, quello sugli impedimenti per la celebrazione del matrimonio, non approvato dal solo patriarcato di Antiochia -. L’unanimità era però appesa a un filo: i testi, infatti, toccano argomenti, come l’ecumenismo e i rapporti con la modernità, sui quali nell’Ortodossia vi sono sensibilità spesso inconciliabili. Che non hanno tardato a farsi avanti.
L’appuntamento in primo momento era stato fissato a Instanbul, a sant’Irene, l’antica cattedrale di Costantinopoli. La crisi tra la Russia e la Turchia, dopo l’abbattimento dell’aereo russo da parte dell’esercito turco, il 24 novembre scorso, ha fatto spostare la sede del Concilio a Creta, all’insigne accademia di studi ortodossi. Ma il cammino verso l’apertura dell’assise è stato un percorso ad ostacoli che solo la determinata mitezza del Patriarca di Costantinopoli ha fatto andare in porto. Anche se con qualche acciacco di non poco conto. Le prime resistenze, con la richiesta di un rinvio del Concilio, sono arrivate dalla Chiesa bulgara, che contesta proprio il documento “ecumenico”; sulle stesse posizioni il patriarcato di Georgia; poi è arrivata la Chiesa di Antiochia, che ha rotto la comunione con quella di Gerusalemme per problemi di giurisdizione territoriale nel Qatar; quindi la defezione più pesante, il Patriarcato di Mosca, che ha riunito il suo Sinodo a una settimana dall’apertura e ha chiesto il rinvio del Concilio . La Serbia, che aveva minacciato la diserzione, ha poi fatto marcia indietro ponendo comunque una serie di condizioni sui lavori del Concilio che animeranno non poco la discussione, Il “no” di Mosca è pesantissimo, perché evidenzia uno dei macigni che pesa sull’incontro di Creta, vale a dire l’attrito tra l’antico patriarcato di Costantinopoli e quello russo.
Il primo ha dalla sua una storia gloriosa, sancita dagli antichi statuti, ma oggi conta solo cinquemila fedeli; il secondo, dopo gli anni dolorosi vissuti in Unione sovietica, è come rifiorito e oggi conta i due terzi dei duecento milioni di ortodossi sparsi nel mondo. A nulla è valso l’appello inviato da migliaia di personalità dell’ortodossia perché i dissidenti cambiassero idea. E, nei giorni scorsi, si è temuto che ancora una volta il Concilio venisse annullato. Questa volta però Costantinopoli ha mostrato rigore e determinazione: la scelta sottoscritta dalle 14 Chiese, in gennaio, non si discute; e se qualcuno si tira indietro si va avanti lo stesso. E così, tra il 15 e il 16 giugno, sull’isola di Creta sono arrivati i capi di dieci Chiese: Costantinopoli, Polonia, Cipro, Serbia, Alessandria, Gerusalemme, Romania, Grecia, Albania, Ceca – Slovacchia. Venerdì 17, due giorni prima della solenne apertura, primati e metropoliti si sono incontrati per una riunione preparatoria, in cui hanno esaminato una bozza del messaggio del Concilio e messo a punto l’agenda dei lavori. Nel comunicato finale si dicono “addolorati per l’assenza del Patriarcato di Antiochia, e le Chiese di Russia, Bulgaria e Georgia” e alzano preghiere “allo Spirito Santo perché li ispiri a partecipare al Concilio”. Insomma, intorno al tavolo conciliare quattro poltrone sono state lasciate libere. Sperando in un miracolo dello Spirito.
Redazione Papaboys (Fonte www.famigliacristiana.it)
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