Cinquanta’anni fa. Paolo VI in Terra Santa, Paolo VI che incontra Atenagora a Gerusalemme, Pietro che torna da dove è partito. Due Papi dopo di lui sono tornati in Terra Santa: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ora arriva Francesco. E lo fa ricordando quel viaggio di cinquant’anni fa. Quando Paolo VI ne parlò alla Curia Romana il 24 dicembre del 1963 disse: “ Noi speriamo di incontrare il Signore nel nostro viaggio”. Fu un tripudio di emozioni. Di organizzazione ce n’era ancora molto poca. Nessun rapporto diplomatico con Israele, lo stato palestinese era solo una teoria. Eppure fu un enorme successo.
Perché? Forse anche perchè, come scrisse François Mauriac su “Epoca” del 12 gennaio del 1964, “segna la fine di un incantesimo”. E spiega: “ A partire dal XVI secolo, il Vaticano si era congelato nell’immobilità, come se un mago l’avesse condannato a una pompa eterna…”
Lo scrittore francese vede la Santa Sede aprire gli occhi ad un nuovo risveglio. É il tempo del Concilio. Il tempo delle grandi speranze. “ Paolo VI calza i sandali e si avvolge nel mantello e si mette in cammino” scrive Mauriac ricordando Pietro che liberato dalla prigione ascolta l’angelo dire: “Mettiti il mantello e seguimi”.
Paolo VI parte con il mantello di Pietro, il 21 settembre in nota a mano scrive: “Questo pellegrinaggio sia rapidissimo, abbia carattere di semplicità, di pietà, di penitenza, di carità.” E prosegue: “ Fine subordinato di simile pellegrinaggio è la difesa morale di questi santi Luoghi.”
Al rientro nella udienza generale dice che il viaggio è stato come “un colpo d’aratro che ha smosso un terreno indurito e ormai inerte, e ha sollevato la coscienza di pensieri e di disegni divini che erano stati sepolti, ma non spenti, da una secolare esperienza storica, che ora sembra aprirsi a voci profetiche.”
É un viaggio ecumenico quello di Paolo VI. Ma non interreligioso.
Fu Giovanni Paolo II, il santo, ad aggiungere quell’aspetto di universalità al suo essere nella terra che vide la vita di Gesù. E ci vollero altri 36 anni perchè accadesse. Il Papa polacco non fa un blitz, ma rimane sei giorni in Terra Santa. E’ l’anno del Giubileo. L’anno delle richieste di perdono della Chiesa cattolica. L’anno in cui il mondo è pellegrino a Roma.
“Questa terra è santa per gli Ebrei, per i Cristiani e per i Musulmani” dice davanti ai capi delle tre religioni monoteiste. Al Centro Notre Dame propone un progetto che ancora non è stato realizzato: “Se le varie comunità religiose nella Città Santa e nella Terra Santa riusciranno a vivere e a lavorare insieme in amicizia e in armonia, apporteranno benefici enormi non solo a se stessi, ma anche alla causa della pace in questa regione. Gerusalemme sarà veramente una Città di Pace per tutti i popoli.”
Pochi mesi ancora una volta sarà la voce della violenza ad avere la meglio.
Ma ormai la strada è aperta. Benedetto XVI va in Terra Santa e incontra una Chiesa viva anche se sofferente. Maggio 2009, otto giorni ancora tra Giordania, Israele e Territori Palestinesi. Fede, politica e diplomazia si intrecciano in un viaggio in cui il Papa visita non solo i luoghi religiosi, ma anche i luoghi della carità. Lo racconta bene ai giornalisti che saluta in aereo al rientro dal pellegrinaggio: disponibilità al dialogo interreligioso, un clima ecumenico molto incoraggiante e un profondo desiderio di pace da parte di tutti.
La cronaca ci ha detto che questi tre punti di forza non hanno ancora portato i frutti desiderati. Ma questo non scoraggia la Chiesa. Non scoraggia Pietro. E Papa Francesco con il suo viaggio sembra volere ripartire da quel pellegrinaggio conciliare di Paolo VI. Va in Terra Santa per i luoghi, per l’anniversario di un rinnovato cammino ecumenico, per la carità, per combattere l’allontanamento dalla fede. La messa celebrata al Cenacolo sarà forse questo, un ricordo di quello che il mondo sta dimenticando: Gesù che serve fino a dare se stesso. Di Angela Ambrogetti fonte korazym.org