Dall’inizio del pontificato, papa Francesco usa tutti i mezzi a sua disposizione – preghiera, parole, gesti, opere e decisioni -, per arrivare al cuore delle persone che ha davanti. Tali mezzi si riconducono sempre nell’“invito (ad) ogni cristiano, in qualsiasi luogo si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Cristo o, almeno, a prendere la decisione di lasciarsi incontrare da Lui, di cercarlo ogni giorno senza sosta” (E.G. n. 3). Papa Francesco non si stanca di ripetere le parole di Benedetto XVI che portano al centro del Vangelo: “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, ossia con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (E.G. n.7). Il Papa vuole scuotere il nostro conformismo mondano, per richiamarci alla conversione: sentire come Cristo, pensare come Cristo, vivere come Cristo. Chi non coglie questa centralità nel pontificato di papa Francesco rimane spaesato o è condannato a esprimere giudizi che possono anche essere importanti ma restano secondari.
Quale sorpresa dello Spirito passare in così breve tempo da un certo clima di assedio, sofferto dalla Chiesa in una sorta di malinconico declino, all’esplosione di gioia e di speranza che suscita il pontificato di Francesco, venuto da lontano, portatore delle sofferenze e delle speranze dei popoli latinoamericani – dove vivono quasi il 50% dei cattolici di tutto il mondo – e dell’esperienza di maturità della loro Chiesa manifestata ad Aparecida. Questa attrazione non è il risultato del carisma mediatico del Papa; c`è qualcosa di molto più profondo che Lui fa emergere dai bisogni e dai desideri della gente. Si sgretolano mura di pregiudizi e resistenze, si pongono domande e attese incluso tra coloro che credevano di aver chiuso i conti con la fede e con la Chiesa; per molti, poi, è tempo del destarsi di una fede addormentata, per altri è un rifiorire, per tutti è la ritrovata fierezza della dignità e bellezza di essere cristiani.
La libertà, la forza e la determinazione di papa Francesco si fondano, da una parte, nella coscienza serena e lieta di lasciarsi guidare dallo Spirito di Dio e, dall’altra, dall’amore che gli manifesta il popolo di Dio, ispirato dal suo istinto evangelico, dal “sensus fidei”, ma che gli esprimono anche, oltre i confini ecclesiastici, i popoli della terra, che in solo due anni lo hanno reso un leader mondiale nel drammatico scenario in cui viviamo.
La gente che sin dall’inizio del pontificato riempie piazza San Pietro – come non si era mai visto – e le impressionanti moltitudini che hanno accompagnato il Papa durante i suoi viaggi apostolici, ci aiutano a relativizzare un angusto sguardo ecclesiastico, spesso relegato ai palazzi romani, alle vicissitudini delle burocrazie o al commento auto-referenziale degli “intellettuali”. Il vero “cattolico medio” – titolo con i quale si è presentato Messori in un suo polemico testo – si trova in tutti quelli che seguono e amano il Papa, attratti dalla testimonianza e dal messaggio che comunica: un Vangelo con poche glosse vissuto con radicalità in un intercambio profondo di umanità. Quanto sono lontani questi invocati “cattolici medi”, stupiti e lieti dall’avvenimento vissuto, dal porre il proprio ego come misura e giudizio della realtà!
Si possono comprendere delle oneste perplessità ed anche un certo sconcerto di fronte alla nuova modalità di esercizio del papato e alla sua singolare forma di conduzione e di comunicazione. Lo stesso Papa apprezza e ringrazia le critiche ponderate, comprese quelle rivolte al suo operato. Sarebbe molto difficile, però, far capire fino in fondo ai milioni che lo hanno seguito a Copacabana, in Corea, nello Sri Lanka e nelle Filippini, ma anche nelle parrocchie romane e nelle visite pastorali in Italia, le resistenze viscerali, l’invidia e la superbia spesso, come il rifiuto sistematico e pieno di pregiudizi, che si avvertono in alcune reazioni di settori ultra minoritari in seno alla Chiesa. Quanta ragione aveva Benedetto XVI, in tempi di massiccia, brutale e cruenta persecuzione dei cristiani in Medio Oriente, in Nigeria e in molte altre parti del mondo, quando metteva in luce che il peggior nemico per la Chiesa è il male che cova al suo interno! Sorprende la profonda somiglianza tra coloro che si oppongono apertamente a papa Francesco, con quei farisei, saducei e dottori della legge che seguivano Gesù con l’animo incattivito, sempre pronti a metterlo alla prova, scavare tranelli al suo passaggio, scandalizzati dei suoi incontri con prostitute e peccatori, sempre in guardia per cogliere la minima deviazione riguardo alla Legge per giudicarlo e condannarlo.
Paradossalmente, coloro che si chiudono nella loro critica, i reazionari, concordano e si alimentano della figura falsata diffusa da ambienti ecclesiastici e mediatici di un certo progressismo “liberal”. Li accomuna l’immagine di un Papa che vuole cambiare insegnamenti dottrinali e morali della Chiesa, che viene contrapposto ai suoi predecessori nella sede di Pietro, staccato dalla realtà viva della Chiesa. Reazionari e progressisti citano solo certe cose dei suoi discorsi, censurano ciò che non concorda con la loro interpretazione ideologica, con i loro interessi, con i loro schemi mentali e spirituali. Preferiscono dire poco o nulla quando il Papa indica come peccato grave dei cristiani la mondanità, parla delle “insidie del demonio” nell’accomodamento al “moderno”, denuncia il neo-malthusianesimo dei nuovi “Erodi”, si riferisce al “colonialismo ideologico” contro la famiglia, denuncia la “teoria del gender”. Meglio tacere e restare afferrati alla propria interpretazione.
Non si devono sottovalutare le perplessità e lo sconcerto che possono causare e diffondere i seminatori della confusione e della divisione. A volte la spontaneità delle parole del Papa possono giocare brutti scherzi nella riproposizione spesso parziale, a volte strumentale, che ne dà la stampa. Ma forse la Provvidenza di Dio permette che alle persecuzioni “esterne” si aggiungano quelle “interne” per moderare ogni tentazione di “trionfalismo” e ricordare che la Croce è sempre un segno di autentica esperienza cristiana e di ministero al servizio di Dio e dei popoli. Comunque papa Francesco guarda oltre le beghe ecclesiastiche, a volte ci bastona ma sempre ci abbraccia senza temere le nostre fragilità e neppure il cammino della libertà, proprio come fa il padre con il figliol prodigo.
Certo, la riforma della Chiesa in capitis e in membris, per essere sempre più fedele al suo Signore e alla missione che le è stata affidata, che è opera dello Spirito Santo, non può dipendere da un uomo solo al commando. Riforma in capitis implica e richiede conversione pastorale, che è “conversione del papato”, già in atto, ma anche dei Pastori, cioè dei Vescovi, dei loro collaboratori, di tutti gli operatori pastorali. Le parole di papa Francesco riguardo ai Vescovi e ai sacerdoti sono molto chiare. Ogni Pastore è chiamato a una profonda revisione di vita. Non c’è vera riforma senza una ri-consacrazione che scuota la vita delle comunità di religiosi e di religiose perché risulti affascinante e trainante il loro cammino di santità e di missione. Non c’è vera riforma se non per mezzo di una multiforme ricchezza carismatica e educativa, che aiuti a far un salto di qualità nella fede e nella pietà del popolo. Non c’è vera riforma se non in una Chiesa in uscita, verso tutte le periferie, vicina alla gente, piena di misericordia, tenerezza e solidarietà. Non c’è vera riforma se i poveri, che sono al cuore del Vangelo, non sono nel cuore della Chiesa. Non c’è vera riforma se il Vangelo non scatena nuovi e forti movimenti di dignità, di giustizia e di pace nella vita delle nazioni e nella comunità internazionale. Non c’è vera riforma se non comincia e si alimenta inginocchiati, in preghiera. Soltanto così lo Spirito di Dio andrà sedimentando, consolidando e irradiando ovunque le energie cristiane che il papa Francesco sta aiutando a far rifiorire. Queste sono le maggiore sfide che il pontificato ha davanti a sé.
Fonte. Terre D’America
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