Sgozzato mentre celebrava il sacrificio della Croce di Cristo. Con la parole di Papa Francesco ricordiamo padre Jacques Hamel a due anni dalla sua tragica morte. Il suo esempio come quello di tanti altri martiri cristiani nel mondo
Brutalmente assassinato da due ragazzi affiliati al sedicente Stato Islamico mentre celebrava la Messa nella chiesa di Saint-Etienne-du-Rouvray a Rouen nel nord della Francia. Così due anni fa moriva padre Jacques Hamel “uomo mite, buono, che faceva fratellanza”, come disse nella Messa di suffragio, Papa Francesco, il 14 settembre del 2016 a Casa Santa Marta, davanti ai familiari del sacerdote 86enne e ai pellegrini giunti dalla Normandia insieme al vescovo di Rouen mons. Dominique Lebrun.
Oggi, a ricordarlo, nella sua diocesi, si terrà sia una “cerimonia repubblicana per la pace e la fraternità” alla presenza anche del ministro dell’Interno Jacqueline Gourault sia una serie di iniziative religiose con la recita del Rosario, una piccola marcia silenziosa e una Messa celebrata dall’arcivescovo Lebrun nell’orario dell’assassinio di padre Jacques, le 9.00 del 26 luglio 2016.
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Un “martire” cristiano tra i tanti della Chiesa di oggi “che sono assassinati, torturati, carcerati, sgozzati perché non rinnegano Gesù Cristo”: “una catena”, la definì due anni fa il Papa nella Cappella di Casa Santa Marta, che giunge fino a padre Jacques il cui cammino di beatificazione prosegue dal 13 aprile del 2017 grazie alla dispensa papale dei cinque anni necessari per aprire il processo.
“L’odio non ha trionfato e non trionferà”: è quanto afferma ricordando la morte di Jacques Hamel, padre Rebwar Audish Basa caldeo, testimone dell’assassinio di tanti sacerdoti come lui nel martoriato Iraq. “Da loro ho imparato che l’amore vince, noi siamo per la vita e non per la morte. Martiri sono persone oneste che camminano sulla via del Signore pronti a dare la vita per il fratello”. Commentando poi la parola “martirio” e ricordandone l’originario significato di “testimonianza”, padre Basa fa notare che sono tanti i cistiani che perdono la loro vita ogni giorno, spesso nel silenzio e nell’indifferenza internazionale. Succede in Iraq, in Pakistan, nelle Filippine, in Africa: per la minoranza irachena per esempio – dice – è “grazie alla solidarietà del Papa che abbiamo potuto resistere, non ce l’avremmo fatta altrimenti”.
Padre Jacques morì accusando l’autore delle persecuzioni:“Vattene Satana” e durante la Messa di suffragio del 2016 Francesco parlò di “crudeltà satanica che chiede l’apostasia”, auspicando che tutte le confessioni dicessero che “uccidere in nome di Dio è satanico”. Ha tanti nomi, ma “l’aggressore è unico”: anche padre Basa torna su questo concetto, per ribadire che è l’ideologia dell’odio, la non accettazione dell’altro la causa delle persecuzioni. I nomi possono essere Isis o Boko Haram, ma il denominatore è comune. Il sacerdote iracheno mette poi in guardia , riprendendo anche la parole di Francesco, da quanti usano la religione e il nome d Dio per portare avanti progetti personali, giochi di corruzione, piani politici e ribadisce quanto sia importante lottare per il rispetto dei diritti umani anche dei musulmani stessi.
Le ultime ore. «I parrocchiani lo avevano trovato felice»
«La piaga è ancora viva», ammette padre Auguste Moanda, redentorista, il parroco di Saint-Etienne-du-Rouvray giunto qualche anno fa dalla natìa Repubblica Democratica del Congo. Ma nei suoi occhi si accende la speranza quando ripensa ai “segni” delle ore che hanno preceduto la morte di padre Hamel: «I parrocchiani l’avevano trovato felice, trasfigurato come mai prima. Ero in vacanza in Congo, ma ho sentito di dover rientrare una settimana prima del previsto. Ho appreso gli eventi a Parigi, appena arrivato in Francia».
L’arcivescovo Lebrun: il martirio fa di nuovo parte delle nostre vite
«Nel Paese si stava forse quasi perdendo la coscienza di cosa significhi il martirio – dice ad Avvenire Dominique Lebrun, arcivescovo di Rouen – essendo stati gli ultimi lontani nel tempo, in particolare quelli durante la Rivoluzione francese. Quest’esperienza sta aiutando le comunità cristiane in Francia a prendere coscienza del senso profondo di essere cristiani. Il martirio fa parte di nuovo delle nostre vite in modo visibile». E sulle parole proununciate da Hamel prima di morire, «Vattene, Satana!», così commenta il presule: «Per anni, non abbiamo parlato spesso del diavolo, di satana. Ma adesso, meditando davvero quelle parole, ci accorgiamo ogni giorno di una verità paradossale: il male è una buona novella, nel senso che la sua incarnazione non ci rappresenta fino in fondo. Il male si esprime nelle nostre azioni, ma noi non gli apparteniamo».
Gabriella Ceraso- Città del Vaticano
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