Nessuno ormai può sostenere di non essere stato avvertito: entrare nel mondo delle monete virtuali comprando bitcoin, ethereum, litecoin o qualche altra criptovaluta significa avventurarsi in una giungla finanziaria. Dentro può succedere di tutto.
I prezzi possono andare vorticosamente verso l’alto, com’è successo quest’anno, ma possono anche crollare spaventosamente com’è successo nel 2014, quando dopo avere superato per la prima volta i mille dollari la quota- zione della criptovaluta è scivolata fin quasi a 200 dollari. Il potere del piccolo risparmiatore nel determinare il prezzo è naturalmente zero: sono i trader sui mercati professionali a dettare le regole. Possono esserci anche dei furti, in questa giungla finanziaria.
La settimana scorsa è successo in una piattaforma di scambi slovena, NiceHash, dove sono spariti improvvisamente 4700 bitcoin che valgono circa 80 milioni di dollari, alle quotazioni attuali. Nel 2014 è capitato a Mt Gox, che allora era la principale borsa dei bitcoin e ha chiuso improvvisamente facendo sparire 850mila bitcoin, criptovalute che allora valevano 450 milioni di dollari e che oggi con una quotazione complessiva di 14 miliardi e 450 milioni di dollari troverebbero sicuramente posto tra i più preziosi bottini della storia dell’umanità.
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E non ci sono regole o tutele, nel mondo dei bitcoin: non ci sono banche centrali che si muovono per tenere in equilibrio le valute virtuali, si sta completamente in balìa del mercato, che in questo caso è completamente slegato da ogni aggancio con l’economia ‘reale’. Insomma, può darsi che sia una «bolla che rischia di finire in lacrime», come avvertiva ieri Joseph Stiglitz, che nel 2001 ha vinto il Nobel per l’Economia grazie al suo contributo alla teoria delle ‘asimmetrie informative’. La teoria dice che se in un processo economico alcuni soggetti hanno informazioni che gli altri non hanno allora i soggetti ‘informati’ possono usare quelle informazioni a proprio vantaggio.
Conviene sempre chiedersi se si è nel gruppo degli informati o in quello dei disinformati, prima di fare un investimento. Oppure si possono comprare dei bitcoin e poi chiudere gli occhi e incrociare le dita. Ieri il prezzo medio del re delle criptovalute è salito ancora, portandosi a 17.700 dollari. In un anno l’aumento è stato del 2.171%. Niente vieta di sperare che questa corsa non finisca mai. Certo, per crederci serve uno smodato ottimismo.
1) CHE COSA SONO I BITCOIN?
Nell’idea del loro misterioso inventore, qualcuno che si nasconde dietro lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, i bitcoin dovevano essere una moneta virtuale che permettesse di fare pagamenti online senza bisogno di passare da un’istituzione finanziaria, ad esempio da una banca. La loro forza innovativa sta nella blockchain, il meccanismo peer-to-peer che Nakamoto ha ideato per garantire la titolarità di ogni bitcoin, così da evitare, per esempio, che qualcuno spenda due volte lo stesso bitcoin.
2) CHE COSA SIGNIFICA PEER-TO-PEER?
Nakamoto ha pensato i bitcoin come una moneta peer-to-peer, cioè basata su una rete informatica “paritaria”.
Le reti informatiche più diffuse sono organizzate secondo un principio di server e client: ci sono cioè computer che offrono “servizi” (i server) e altri che li ricevono (i client). Per esempio se leggete un articolo su un giornale online il vostro apparecchio è il client che riceve testo, immagini e video dal server del giornale. Nelle reti “paritarie” ogni computer è allo stesso tempo server e client, cioè fornisce e riceve dati dagli altri computer collegati alla rete. Questo tipo di tecnologia è utilizzata da diversi anni nei sistemi di scambio di file, come l’ormai defunto Napster o i più nuovi eMule o uTorrent: i file che gli utenti condividono su queste applicazioni sono memorizzati su diversi computer della rete, quando un utente sceglie di scaricarne uno lo scarica prendone diversi “pezzettini” dai computer degli altri utenti, che a loro volta possono scaricare “pezzettini” di file dal suo computer.
La forza di queste reti è che rispetto a quelle tradizionali sono più difficili da attaccare: in un sistema in cui ci sono server e client distinti basta spegnere i server per chiudere la rete, mentre in un sistema peer-to-peer la rete continua a operare finché non vengono spenti tutti i computer che ne fanno parte.
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3) COME FUNZIONA BLOCKCHAIN?
Blockchain è il sistema che dota i bitcoin dell’l’inattaccabilità delle reti peer-to-peer. I computer connessi alla rete della moneta virtuale registrano ogni generazione di nuovi bitcoin e ogni passaggio di proprietà di un bitcoin su blockchain, registro pubblico e condiviso tra tutti gli utenti della rete che verifica e autentica quanti sono i bitcoin e a chi appartengono. Ogni volta che un bitcoin passa di mano, questo trasferimento viene registrato su blockchain (che significa proprio catena di blocchi) in un nuovo “blocco” di dati crittografato, che si aggiunge ai blocchi in cui sono incluse le operazioni precedenti e alle quali si lega indissolubilmente. Oggi i blocchi sono poco meno di 500mila. È impossibile modificarne uno, perché sarebbe incompatibile con tutti quelli precedenti e quelli successivi, già memorizzati su tutti i computer della rete.
Questo registro condiviso, studiato da banche in tutto il mondo per altre possibili applicazioni, è una sorta di banca centrale dei bitcoin, la massima garanzia dell’esistenza e della titolarità delle monete virtuali.
4) CHI CREA I BITCOIN?
La verifica della validità dei blocchi della blockchain avviene attraverso la risoluzione di calcoli matematici estremamente complessi. Nella rete dei bitcoin ci sono utenti che mettono a disposizione la capacità di calcolo dei loro computer per risolvere queste operazioni, così da contribuire alla costruzione della catena di blocchi. Più la catena si allunga più i calcoli si fanno complessi. Quando riescono a completare un’operazione di verifica questi soggetti – chiamati “miners”, cioè minatori, perché estraggono i dati dai blocchi – vengono ricompensati con un premio in bitcoin. L’attività dei miners non è per tutti: servono reti di computer estremamente potenti per risolvere i calcoli. Secondo le stime del centro di analisi sulle criptovalute Digiconomist per validare ogni singola transazione in bitcoin si consumano 235 kilowattora di energia elettrica, quasi un decimo del consumo annuo di elettricità di una famiglia italiana media.
5) PERCHÉ ADESSO SI PARLA TANTO DEI BITCOIN?
I bitcoin non sono una novità: il documento fondativo di Nakamoto è stato pubblicato nell’estate del 2008 e la rete peer-to-peer è al lavoro su blockchain dal 2009. Per i primi anni sono rimasti un oggetto che appassionava solo gli informatici e certi fan dell’anarchia resa possibile dal mondo del web. Non ci sono dati ufficiali sul loro uso come “valuta”, ma raramente sono stati davvero utilizzati come moneta per acquistare qualcosa di “reale”. Il loro essere completamente indipendenti da entità governative o bancarie li ha resi però presto uno strumento di scambio molto utilizzato nel mondo del commercio illegale, ad esempio per gli acquisti di droga o armi. Ma è da quest’anno che le monete peer-to-peer pensate da Nakamoto hanno cessato di essere qualcosa di simile a una valuta per diventare uno strumento di investimento: la valutazione dei bitcoin, che ci aveva messo quattro anni a salire da 1 a 100 dollari e tra il 2014 e il 2016 si era mossa tra i 300 e i 900 dollari, è andata fuori controllo all’inizio di questo 2017: è salita dai 995 dollari di inizio gennaio agli attuali 17mila dollari, con una crescita di oltre il 1.600%.
6) COME SI INVESTE SUI BITCOIN?
Il mondo della moneta virtuale è sregolato, anarchico e asimmetrico. Alla base ci sono i “minatori” che ottengono i bitcoin (fino ad oggi ne sono stati estratti 16,5 milioni, blockchain è concepita perché se ne possano generare al massimo 21 milioni) e che ne mettono in vendita una parte. Poi ci sono i trader, che attraverso piattaforme del tutto simili a quelle che utilizzano ad esempio per gli scambi di Borsa comprano e vendono bitcoin “facendo” la quotazione, cioè indicando il prezzo a cui sono disposti a cederli e quello a cui sono disposti a comprarli. Infine ci sono i piccoli investitori, che si sono affidati a qualche azienda come Coinbase o Blockchain per aprire un loro wallet, cioè un portafoglio in cui mettere bitcoin da comprare con la carta di credito o collegando il wallet al proprio conto in banca. Su ogni acquisto si paga una commissione. Oggi in pochi comprano interi bitcoin, ma si limitano a piccole porzioni. I prezzi per questi acquisti sono determinati dalle aziende con cui si apre il wallet, che vendono ai risparmiatori i bitcoin generati da loro o quelli acquistati sulle borse in cui si muovono i trader.
Quando vuole vendere il suo bitcoin, il risparmiatore lo cede all’azienda del suo wallet, che gli applica lo stesso prezzo a cui compra le valute virtuali (e gli fa di nuovo pagare una commissione).
7) PERCHÉ LE VALUTAZIONI DEI BITCOIN CRESCONO COSÌ TANTO?
La corsa della valutazione dei bitcoin è qualcosa che si autoalimenta. I bitcoin e le altre valute virtuali che sono nate nel frattempo – come Ethereum, Litecoin o Bitcoin cash, nata da una costola della moneta di Nakamoto – non hanno legami con un’attività economica reale: non hanno nessun uso significativo nel mondo fisico, la loro valutazione si basa solo su quanto le persone sono disposte a spendere per possederne uno. Dietro la crescita iniziale delle quotazioni possono esserci stati fattori diversi: essendo una moneta fuori dal controllo dei governi, i bitcoin possono avere rappresentato una via di fuga per gli investimenti di cittadini di paesi come la Cina o il Venezuela, sottoposti a limiti severi per l’espatrio dei capitali. Ma sono solo ipotesi. Ciò che è evidente è invece che la vorticosa crescita delle quotazioni generata dall’aumento della domanda di bitcoin ha spinto anche risparmiatori di paesi dove i capitali sono ben più tutelati (Italia compresa) a usare i loro soldi veri per comprare valuta virtuale, così da approfittare dei guadagni e partecipare a quella che sembra la scoperta collettiva di un Eldorado.
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8) È VERO CHE È UN’ENORME BOLLA?
Impossibile dirlo con certezza. Di sicuro davanti a una crescita del 1600% il rischio di bolla è elevatissimo. Soprattutto perché dietro ai bitcoin non c’è nulla, se non la frenesia dei risparmiatori di mezzo mondo: il loro valore è determinato solo da quanto le persone sono disposte a pagare per averne uno e da quanto i trader si aspettano che le persone saranno disposte a pagare in futuro. Se il valore di un’azione si lega alle aspettative degli utili che un’azienda sarà in grado di generare e quello di titoli specultativi come i futures sul petrolio si lega alle dinamiche della domanda e dell’offerta della principale materia prima energetica del mondo, la quotazione dei bitcoin non si lega ad altro che a se stessa, in una pericolosissima autosufficienza.
Fonte avvenire.it
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