Forse i Magi non erano tre e non erano Re ma sapienti che, come disse alcuni anni fa Benedetto XVI, «scrutavano il cielo» per trovare Dio. Una leggenda li associa a una vecchina riluttante che poi divenne la Befana che porta i doni ai più piccoli. Nella liturgia cristiana è la festa in cui Dio, nel Bambino Gesù, si manifesta a tutti i popoli. Il dono della mirra allude alla Passione, quello dell’oro alla regalità e l’incenso alla divinità di Cristo.
In Italia è comunque una festa molto popolare e sentita, dà luogo a diverse manifestazioni e tradizioni, dai pranzi e i doni offerti per i più poveri a quella, squisitamente religiosa, specie al Sud, del bacio del Bambinello nei presepi viventi allestiti per Natale. Fino al corteo dei Magi e le sagre di paese.
Qual è il legame tra la vecchia che porta i doni ai più piccoli e i misteriosi re (che re non erano, ma forse astrologi, e non erano nemmeno tre) che offrirono a Gesù Bambino oro, incenso e mirra? Nel libro Storia e leggende di Babbo Natale e della Befana (Newton Compton) gli autori Claudio Corvino ed Erberto Petoia riportano una leggenda secondo la quale i Magi, diretti a Betlemme con i doni, non riuscendo a trovare la strada chiesero informazioni a un’anziana. La quale, nonostante le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al Bambino, restò ferma. Salvo poi dopo pentirsi della sua riluttanza. Per questo preparò un cesto di dolci, uscì e cercò i re. Ma non li trovò. A quel punto decise che si sarebbe fermata a ogni casa lungo il suo cammino, donando qualcosa ai bimbi, sperando che uno di essi fosse Gesù.
Da allora porta regali a tutti i piccoli. Ecco quindi che “epifania”, parola greca che significa “manifestazione divina, apparizione” (quella di Cristo Signore a tutti i popoli in questo caso) si è guastato ed è diventato befana.
Nel 1978 il governo Andreotti la abolì, ma poi fu reintrodotta nel calendario religioso e civile dal 1985.
È il Vangelo di Matteo a narrare l’episodio della visita dei Magi a Gesù Bambino i quali da Oriente giungono a Gerusalemme e chiedono “Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo”. Il significato è teologico: i Magi simboleggiano gli stranieri e i pagani che riconoscono la venuta del vero Dio. Originariamente, si pensa comunque che i personaggi non sono tre e non sono Re. La provenienza da Oriente fa pensare alla Persia, perché «magio» è un vocabolo di questa terra ma dall’etimologia un po’ oscura. Indica comunque una tribù originaria dell’Iran occidentale nel cui ambito erano scelti i sacerdoti che aderiranno alla riforma di Zoroastro.
Leggende e interpretazioni si sprecano. I Padri della Chiesa ne hanno date diverse. Tertulliano, nel II secolo, concede ai Magi la qualifica di Re; nello stesso periodo Sant’Ireneo spiega il significato dei tre doni: la mirra è l’olio tradizionalmente utilizzato per la sepoltura e allude alla Passione di Cristo, l’oro è simbolo di regalità, l’incenso è riservato a Dio. Nel XII secolo, invece, Bernardo di Chiaravalle spiegherà che l’oro era per alleviare la povertà della Vergine, l’incenso per disinfettare la stalla di Betlemme e la mirra come un vermifugo. Lutero, quattro secoli dopo, li associa a fede, speranza e carità, le tre virtù teologali.
Un’altra leggenda armena vuole che i Re Magi fossero fratelli e riferisce i loro nomi: Melkon, che regnava sui Persiani; Baldassarre, il secondo, sugli indiani; Gaspare, il terzo, possedeva il paese degli Arabi.
Al di là delle leggende, sterminate, la Chiesa li ha sempre considerati come simbolo dell’uomo che si mette alla ricerca di Dio: «Essi», ha detto Benedetto XVI nell’omelia della solennità dell’Epifania del 2011, «erano probabilmente dei sapienti che scrutavano il cielo, ma non per cercare di “leggere” negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno; erano piuttosto uomini “in ricerca” di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita. Erano persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la “firma” di Dio, una firma che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare».
Nel 614 la Palestina fu occupata dai Persiani guidati da Re Cosroe II e distrussero quasi tutte le chiese cristiane, risparmiando la Basilica della Natività di Betlemme perché sulla facciata vi era un mosaico raffigurante i Magi vestiti con l’abito tradizionale persiano. Marco Polo afferma di aver visitato le tombe dei Magi nella città di Saba, a sud di Teheran, intorno al 1270: «In Persia è la città ch’è chiamata Saba, da la quale si partiro li tre re ch’andaro adorare Dio quando nacque. In quella città son soppeliti gli tre Magi in una bella sepoltura, e sonvi ancora tutti interi con barba e co’ capegli: l’uno ebbe nome Beltasar, l’altro Gaspar, lo terzo Melquior. Messer Marco dimandò più volte in quella cittade di quegli III re: niuno gliene seppe dire nulla, se non che erano III re soppelliti anticamente» (Il Milione, cap. 30). Nel 1162 l’imperatore Federico Barbarossa fece distruggere la chiesa di Sant’Eustorgio a Milano, dove erano state portate le salme dei Magi (alle quali era giunta, secondo la Tradizione, sant’Elena) e se ne impossessò.
Nel 1164 l’arcicancelliere imperiale Rainaldo di Dassel, arcivescovo di Colonia, le sottrasse e passando in Lombardia, Piemonte, Borgogna, Renania, le traslò nella cattedrale della città tedesca, dove ancora oggi sono conservate. Milano cercò ripetutamente di riavere le reliquie: il 3 gennaio del 1904, l’Arcivescovo Ferrari fece collocare in Sant’Eustorgio alcuni frammenti ossei in un’urna di bronzo con la scritta «Sepulcrum Trium Magorum».
Redazione Papaboys (Fonti di archivio www.famigliacristiana.it/Antonio Sanfrancesco)
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