Alla notizia della sua morte, Lech Wałęsa ha detto: “È stato un uomo molto intelligente. Solo Dio potrà giudicarlo”. Sì, Wałęsa si riferisce al fatto che sulla testa del vecchio generale – già da almeno cinque o sei anni era malato di cancro, di un linfoma – pendevano due procedimenti penali che erano stati sospesi a causa della sua età e della suo pessimo stato di salute. I due procedimenti penali riguardavano rispettivamente il massacro compiuto quando lui era ministro della Difesa, nel 1970, contro gli operai di Danzica e l’altro per l’introduzione della legge marziale del 1981 che, anche se non aveva fatto un bagno di sangue, aveva comunque fatto una decina di vittime tra i minatori della Slesia. Per questo, c’era stato un dibattito in Polonia: c’era chi lo voleva condannare comunque per quello che aveva fatto e chi invece diceva: “Sì, ha compiuto dei crimini, però si è anche riscattato con questa straordinaria decisione di cancellare il suo passato, di stringere la mano a quelli che aveva messo in galera”. Quindi, credo sia per questo che, saggiamente, il suo ex avversario Lech Wałęsa – diventato poi non dico amico, ma che certamente gli è stato vicino, andandolo anche a trovarlo in ospedale negli ultimi tempi – dica: “Sarà Dio adesso a giudicarlo”.
Nel periodo del suo riscatto, il generale non aveva nascosto la sua simpatia per Papa Wojtyla e la sua testimonianza è stata raccolta anche per la beatificazione di Giovanni Paolo II… Con Giovanni Paolo II, Jaruzelski si è incontrato ben otto volte. L’ultima, credo, nel 2001. Gli incontri fatti a livello istituzionale, cioè quando negli anni ‘80 governava con il pugno di ferro la Polonia, sono stati anche molto burrascosi. Proprio nella testimonianza resa per la Beatificazione – citata varie volte dai giornali – ha dimostrato non solo stima, ma anche commozione nei riguardi della figura di Giovanni Paolo II, “un santo che gli ha toccato il cuore”, come disse. Aggiungendo inoltre: “ Mi vergogno per certe parole, per certi atti, perché lui aveva messo in difficoltà il nostro sistema; noi dovevamo reagire. Ma oggi chiedo perdono. Però alla fine mi sono sentito accolto da lui”. Questo è importante, perché dimostra la lealtà di questo militare polacco che è stato comunista ma anche patriota. Quindi una figura tragica, complessa della storia polacca che però, ripeto, ha saputo alla fine della sua lunga vita politica riscattarsi. L’intervista è di Roberta Gisotti, a Luigi Geninazzi, giornalista e scrittore, esperto di Europa dell’est.
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