Res Publica et Societas

E per chi non crede, che Natale è? S. Agostino ci ricorda che sono tutti fratelli!

Ho molti amici non credenti che in questi giorni di festa, pace e letizia,  hanno preparato l’Albero di Natale, non sono andati a lavorare, si sono scambiati regali e, probabilmente, hanno ascoltato anche qualche nota dell’Astro del ciel – da quei pochi programmi in tv che hanno trasmesso questo canto, invece dei soliti spot ‘cinepanettoniali’… infarciti di musiche ‘moderne’.

Ma per chi non crede, che Natale è?

Forse è un periodo ‘diverso’, nel quale non sono attenti ad accogliere una nuova possibilità nella storia personale e nell’anima di ciascuno di noi, ma non per questo sono meno rispettabili di molti di noi cristiani che in questi giorni di Natale, ad esempio, abbiamo riempito le nostre bacheche di facebook di invettive contro questo o contro quello, immagini deliranti di Babbi Natale improbabili, frasi senza un minimo ‘spirito di una culla’ ed anche varie ed eventuali.

Rispetto più chi non crede

, sia evidente, che molti di noi cristiani a parole, ma che nei fatti siamo ‘non giudicabili’.

Ci mette pero’ tutti d’accordo Sant’Agostino, o almeno spero per voi lettori,  in questa riflessione che stasera vi propongo. Leggetela, fa sicuramente bene al cuore, e ci fa vivere davvero con più misericordia verso tutti, ma soprattutto verso noi stessi. di Daniele Venturi

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Coloro che si trovano al di fuori, lo vogliano o no, sono nostri fratelli

Dal “Commento sui salmi” di Sant’Agostino, vescovo (Sal 31,29; CCL 38,272-273)

Fratelli, vi esortiamo ardentemente a questa carità, non soltanto verso i vostri compagni di fede, ma anche verso quelli che si trovano al di fuori, siano essi pagani che ancora non credono in Cristo, oppure siano divisi da noi, perché, mentre riconoscono con noi lo stesso capo, sono però separati dal corpo.

Fratelli, proviamo dolore per essi, come per nostri fratelli. Cesseranno di essere nostri fratelli, quando non diranno più “Padre nostro” (Mt 6,9).

Il Profeta ha detto ad alcuni: “A coloro che vi dicono: Non siete nostri fratelli, rispondete: Siete nostri fratelli” (Is 66,5 sec. LXX). Riflettete di chi abbia potuto usare questa espressione: forse dei pagani? No, perché secondo il linguaggio scritturistico ed ecclesiastico non li chiamiamo fratelli.

Forse dei giudei che non hanno creduto in Cristo?

Leggete l’Apostolo e noterete che quando egli dice “fratelli” senza alcuna aggiunta, vuoi intendere i cristiani: “Ma tu, perché giudichi il tuo fratello? E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello?” (Rm 14,10). E in un altro passo scrive: “Siete voi che commettete ingiustizia e rubate, e questo ai fratelli!” (1Cor 6,8).Perciò costoro che dicono: “Non siete nostri fratelli”, ci chiamano pagani.

Ecco perché ci vogliono ribattezzare, affermando che noi non possediamo ciò che essi danno. Ne viene di conseguenza il loro errore, di negare cioè che noi siamo loro fratelli. Ma per qual motivo il profeta ci ha detto: “Voi dite loro: siete nostri fratelli”, se non perché riconosciamo in essi ciò che da loro non viene riconosciuto in noi? Essi quindi, non riconoscendo il nostro battesimo, dicono che noi non siamo loro fratelli; noi invece, non esigendo di nuovo in loro il battesimo, ma riconoscendolo nostro, diciamo loro: “Siete nostri fratelli”. Dicano pure essi: “Perché ci cercate, perché ci volete? Noi risponderemo: “Siete nostri fratelli”. Ci dicano: “Andatevene da noi, non abbiamo niente a che fare con voi”. Ebbene, noi invece abbiamo assolutamente parte con voi: confessiamo l’unico Cristo, dobbiamo essere in un solo corpo, sotto un unico Capo.

Perciò vi scongiuriamo, fratelli, per le stesse viscere della carità, dal cui latte siamo nutriti, dal cui pane ci fortifichiamo, per Cristo nostro Signore, per la sua mansuetudine vi scongiuriamo. È tempo che usiamo una grande carità verso di loro, una infinita misericordia nel supplicare Dio per loro perché conceda finalmente ad essi idee e sentimenti di saggezza per ravvedersi e capire che non hanno assolutamente nessun argomento da opporre alla verità. Ad essi è rimasta solo la debolezza dell’animosità, la quale tanto più è inferma quanto più crede di abbondare in forze.



Vi scongiuriamo, dicevo, per i deboli, per i sapienti secondo la carne, per gli uomini rozzi e materiali, per i nostri fratelli che celebrano gli stessi sacramenti, anche se non con noi, ma tuttavia gli stessi, per i nostri fratelli che rispondono un unico Amen che noi, anche se non con noi. Esprimete a Dio la vostra profonda carità per loro.

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