R. – Il primo motivo è che questa epidemia sta interessando una regione dell’Africa dove non c’è storia di Ebola. Il secondo è che sta durando da troppo tempo, da più mesi. Generalmente, queste epidemie sono come una fiammata e nell’arco di qualche mese tendono a ridursi fino a spegnersi. Il terzo motivo è che ci sono casi di Ebola in contesti urbani, nelle capitali.
D. – Lei è arrivato lunedì a Freetown: che città ha trovato?
R. – Sono arrivato in una capitale deserta. Non c’erano persone lungo le strade, tutti gli uffici, i negozi erano chiusi, i mercati vuoti… Le uniche attività presenti erano quelle sanitarie lungo le strade, controllate dalla polizia con dei posti blocco. Diciamo che questa ulteriore misura precauzionale oltre che ridurre i contatti, allo stesso tempo fa riflettere la popolazione su quanto sta accadendo. La popolazione ha paura e quindi sta a casa e quando è ammalata non si reca presso strutture sanitarie. Le donne non partoriscono negli ospedali, i bambini non vengono portati alle unità statiche e mobili dedicate alle vaccinazioni. Questa è quindi un’implicazione grave dell’epidemia Ebola: il sistema sanitario, i servizi essenziali che si forniscono alla popolazione sono compromessi.
D. – Lei rimarrà nel Paese fino a quando questo virus non sarà debellato…
D. – Dall’Ebola si può guarire, comunque…
R. – L’Ebola è una malattia molto temibile e terribile quando arriva, ma non è una malattia che non si può superare. I pazienti, se ben assisti, riescono a sopravvivere alla fase acuta, guariscono e tornano a casa, ma molto dipende dalla capacità che c’è sul posto di fornire un’assistenza che deve essere molto attenta, competente e che deve, naturalmente, essere dotata di molti mezzi di protezione legata poi al comportamento degli operatori sanitari.
D. – Ma ci sono stati segni di speranza?
R. – I segni di speranza sono quei pazienti che riescono a superare la fase critica, sopravvivono, si rialzano in piedi, escono dalla tenda che è considerata l’anticamera della morte. Ho impresso nella mia memoria, l’immagine di queste due donne, ancora giovani, affaticate, che però ci hanno salutato con la mano e gli abbiamo risposto: “Bellissimo! Andate avanti così! Vi aspettiamo”.
D. – Si parla molto di questi trattamenti sperimentali: lunedì ci sarà una riunione dell’Oms per decidere in merito…
R. – Queste terapie per ora sono sperimentali: sono condotte nei Paesi più ricchi – non lo dico polemicamente, ma è così – a favore degli operatori internazionali, anche loro, ahimè, vittime dell’epidemia. Non c’è stata un’attenzione dovuta a queste malattie emorragiche, neglette per certi aspetti, come lo sono le persone che sono colpite da malattie di questo tipo.
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