1. Non solo il Bernini – Gianlorenzo Bernini aveva solo 25 anni quando papa Urbano VIII gli commissionò la realizzazione dell’altare della Basilica di San Pietro. Era uno scultore straordinario, ma come architetto non era eccellente; intelligentemente, preferì includere l’acerrimo rivale Borromini nel suo gruppo di lavoro. Anche suo padre Pietro, scultore molto noto a Roma, e suo fratello Luigi hanno lavorato al progetto.
Per realizzare il baldacchino usarono del bronzo proveniente da Venezia e in più estrassero, fusero e riciclarono bronzi del Pantheon di Agrippa.
A Roma era una pratica comune usare materiali “presi in prestito” (come il marmo, metalli, pietre preziose, ecc) da altre opere d’arte. Ma questo non dev’essere andato a genio a qualche romano, al punto che fu coniato il detto “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini”. Una espressione latina che, tradotta letteralmente, significa: “Quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto
i Barberini”. Scoperto, l’autore di questa Pasquinata si pentì di quanto detto e chiese perdono, sul letto di morte, al papa e alla famiglia Barberini.
Anche chi è stato diverse volte davanti a questa straordinaria opera, non sarà mai consapevole della sua altezza. Pur essendo gigantesca, dentro la magnifica basilica si perde. Il baldacchino è alto 28 m, come un palazzo di 10 piani.
Chi viene ad ammirare questa opera, poi si chiede perché sia adornata da così tante api e soli. Non si trovano solo nel baldacchino, ma sono rappresentati anche in diversi punti, dentro e fuori la basilica, perché è il simbolo della famiglia Barberini, a cui apparteneva Papa Urbano VIII.
In tutte le colonne, ad eccezioni di quelle che rappresentano l’Eucaristia, si possono vedere delle foglie di alloro; una probabile allegoria al noto talento poetico di Urbano VIII in lingua latina, dato momento che con esso venivano incoronati i poeti classici.
Sotto ogni colonna in stile salomonico dell’altare si trovano otto fregi di marmo con lo stemma delle api della famiglia Barberini e le chiavi e il mitra del papa. Se non si presta attenzione sembrerebbero uguali, ma non lo sono. Ognuno di essi è diverso e rappresenta (in senso orario a partire dal primo, vedi disegno) il ciclo di una donna incinta: dal momento del concepimento fino al parto e nell’ultimo fregio si vede il volto del bambino appena nato.
Ancora adesso questa rappresentazione è un mistero che ha dato adito a così tante storie e leggende. Alcuni dicono che rappresenti una nipote di Papa Urbano VIII che aveva avuto una gravidanza molto difficile; per celebrare la nascita, il Pontefice avrebbe fatto realizzare questi ornamenti. I maliziosi pensano che siano una serie di messaggi massonici che sembrano usciti da un romanzo di Don Brown. Ma la cosa più probabile è che, essendo il Bernini così devoto, abbia voluto in questo modo rappresentare la “Madre Chiesa”.
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Pochi conoscono questo dettaglio, e le sue piccole dimensioni lo possono far passare inosservato agli occhi del visitatore. In una colonna è fusa la rappresentazione di un rosario. A un’estremità c’è un crocifisso e all’altra ci sono tre medaglie, che potrebbero rappresentare san Pietro, san Paolo e la porta del Giubileo del 1625. Si dice che in questo modo il Bernini abbia voluto dedicare, al termine dell’opera, il suo lavoro alla Madonna.
Dall’altra parte della stessa colonna dove c’è il rosario (quella di sud-ovest), è possibile notare un’altra medaglia, che sembrerebbe rappresentare papa Urbano VIII.
Un’altra rappresentazione molto curiosa è data da una serie di lucertole. C’è un profondo significato religioso: le lucertole sono in grado di cambiare pelle e far crescere una nuova coda, diventando un simbolo della Resurrezione.
La prima lucertola (colonna di nord-ovest) guarda verso il sole, simboleggiando la contemplazione del divino.
Una seconda lucertola, nella colonna nord-est, tiene in bocca uno scorpione, che nell’Apocalisse è la rappresentazione del male.
Un’altra lucertola è nella colonna nord-ovest, vicino ad una delle medaglie.
Continuando ad osservare si possono trovare dei bellissimi angeli, allori, insetti, e molti altri dettagli che il genio Gianlorenzo Bernini ha, per qualche motivo, voluto lasciare in memoria fino ad oggi.
Fonti: Roma Leggendaria, Un paseo por la historia.
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