Salvatore Cernuzio – Roma per Vaticannews.va
“Questo grido di pace sembra non arrivare al mondo, quasi un grido nel deserto… Perché continua, continua, continua, questo orrore che è vicino a noi. Ma tutti gli orrori ci riguardano, ovunque. Oggi ci sono 49 guerre dappertutto. Non si sa come uscire, cosa fare. Per me rivivere questa cosa, che comunque non assomiglia affatto alla Shoah, è assolutamente insopportabile”.
Edith Bruck era seduta in prima fila, in mezzo a monaci buddisti e leader musulmani, nel Parco Archeologico del Colosseo, all’incontro di Sant’Egidio “Il Grido della Pace”. Con la caratteristica treccia fulva che le restituisce un’immagine quasi fanciullesca, nonostante i 91 anni, avvolta da un maglioncino grigio di filo, la nota scrittrice ungherese, superstite della Shoah e testimone diretta di uno dei più oscuri capitoli della storia del mondo, è stata chiamata dalla sicurezza per essere la prima tra gli ospiti a salutare l’arrivo del Papa sotto il grande palco allestito ai piedi dell’antico Anfiteatro Flavio.
Francesco ha sorriso nel vederla, le ha stretto le mani. Lei si è piegata e si sono abbracciati. Sul palco la poetessa, amica del Pontefice dalla famosa visita nella sua abitazione romana del 2019, affiancata da alcuni bambini, ha sollevato la pergamena bianca con l’Appello di Roma, il “grido della pace”, appunto, messo nero su bianco dal Papa e dai leader religiosi mondiali. Da lì, un nuovo un saluto con Francesco e alcune parole sussurrate all’orecchio, inquadrate dalle telecamere.
“Con il Papa ci vogliamo molto bene, io tanto. Credo che anche lui…”, dice la scrittrice a Vatican News
, a margine dell’incontro, in mezzo a richieste di foto e di dichiarazioni. “Quello tra noi è un incontro tra due esseri umani che si preoccupano del mondo. Lui sente il mio non odio verso nessun essere umano, io sento la sua umanità. È l’amicizia tra due esseri umani”.E proprio come essere umano, Bruck confessa di sentire forte il dolore, in mezzo a questo nuovo abisso creatosi da otto mesi in Europa, per le nuove generazioni. “Mi dispiace per i giovani che devono vedere la crudeltà umana, la prima volta in vita loro e non so quale danno provoca in loro. Temo che possano perdere la speranza per il futuro. Questo mi dispiace molto perché io l’ho vissuto dal di dentro, loro la vedono in diretta. È orribile…”.
Da 62 anni Edith Bruck si reca nelle scuole “a parlare, a dare testimonianza, a cambiare quel poco che posso cambiare”. Porta a ragazzi e ragazze la sua testimonianza di sopravvissuta, di bambina alla quale è stato rubato ciò che le era più caro, come ha raccontato nel suo best seller Il pane perduto. “Mi dispiace molto perché molte volte ho del pudore nel raccontare ciò che è accaduto e provo del disagio – dice ancora ai nostri microfoni -. Non si potrà mai descrivere, non si potrà mai raccontare fino in fondo quello che è successo, però ora i giovani vedono qualcosa di mostruoso, qualcosa di inimmaginabile oggi. E va avanti… Il grido del Papa, il grido nostro, il grido di ogni essere umano che vuole la pace, sembra non servire a nulla”.
Non perde la speranza, tuttavia, Edith Bruck. Non la perde proprio perché guarda ai ragazzi che incontra quotidianamente. “Anche nel buio più totale c’è un po’ di luce, si trova un po’ di umanità. Quella umanità che è dentro ognuno di noi ma che va alimentata giorno per giorno per lasciare ‘affamato’ il male”.
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