Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano
Per la prima volta, la tradizionale liturgia penitenziale della Gmg si è celebrata in un carcere. L’abbraccio del Papa ai giovani detenuti, nel penitenziario minorile di Pacora, si è aperto tra un intreccio di sguardi.
Lo sguardo paterno e affettuoso di Francesco si è incrociato con quelli emozionati di giovani privati della libertà ma non della speranza. Al grigio cupo del carcere e alle ombre che si allungano dal passato, si è sovrapposta una nuova luce, quella della riconciliazione. Gli sguardi dei giovani detenuti, rinnovati dalla gioia del perdono, sono una emblematica icona della Gmg, la testimonianza dell’abbraccio misericordioso di Dio.
L’essenza dell’incontro nel carcere di Pacora si coglie anche attraverso altri sguardi. Sono quelli che scandiscono il Vangelo di San Luca, in cui i farisei e gli scribi si scandalizzano per il comportamento di Gesù. Commentando questo passo evangelico, Francesco ha ricordato nell’omelia che “mentre quelli si limitavano solo a mormorare”, Gesù “accoglie i peccatori e mangia con loro”. Sono due prospettive diverse che si contrappongono: “uno sguardo sterile e infecondo – quello della mormorazione e del pettegolezzo – e un altro che chiama alla trasformazione e alla conversione: quello del Signore”.
La scelta di Gesù – ha spiegato il Papa – è quella di “stare vicino e di offrire nuove opportunità”. Sembra invece più facile, ha aggiunto, “dare titoli e etichette che congelano e stigmatizzano non solo il passato ma anche il presente e il futuro delle persone”. “Etichette che, in definitiva, non producono altro che divisione: di qua i buoni, di là i cattivi; di qua i giusti, di là i peccatori”. Ma ognuno di noi, ha osservato Francesco, “è molto di più delle sue etichette”. “Questo atteggiamento – ha aggiunto il Pontefice – inquina tutto perché alza un muro invisibile che fa pensare che emarginando, separando e isolando si risolveranno magicamente tutti i problemi”.
Tutto il Vangelo è invece segnato da un altro sguardo, quello “che nasce dal cuore di Dio”. Quello del Signore, ha spiegato il Papa, è un amore che “si fa carico della complessità della vita e di ogni situazione”. Un amore che è “capace di offrire strade e opportunità di integrazione e trasformazione, di guarigione e di perdono, strade di salvezza”. Gesù, ha affermato il Santo Padre, rompe anche “il mormorio interiore che emerge in chi, avendo pianto il proprio peccato, e consapevole del proprio errore, non crede di poter cambiare”.
Francesco ha sottolineato infine che alla mormorazione e alla condanna bisogna contrapporre le vie dell’inclusione e dell’integrazione: “Una società si ammala quando non è capace di far festa per la trasformazione dei suoi figli; una comunità si ammala quando vive la mormorazione che schiaccia e condanna, senza sensibilità. Una società è feconda quando sa generare dinamiche capaci di includere e integrare, di farsi carico e lottare per creare opportunità e alternative che diano nuove possibilità ai suoi figli, quando si impegna a creare futuro con comunità, educazione e lavoro”.
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Le parole di Papa Francesco sono state precedute dalla testimonianza di un giovane detenuto, arrestato nell’aprile del 2016: “Una notte, mentre meditavo, mi sono detto che non tutto era finito perché il mio proposito era grande. In quel momento ho capito che il Padre mio, Dio, era accanto a me”. “Sono grato a Cristo – ha aggiunto – perché ha messo quelle persone sulla mia strada per aiutarmi a concludere gli studi secondari e ottenere questo cambiamento nella mia vita. Ciò che spero, e quel che vedo per me in un futuro, è di diventare uno chef internazionale”. “Non ci sono parole – ha concluso – per descrivere la libertà che sento in questo momento”.
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La direttrice del carcere minorile ha ringraziato il Papa e ricordato che quando è stata annunciata la visita di Francesco nel penitenziario, i ragazzi “si sono riempiti di emozione, desideri e speranza e si sono sentiti benedetti”. “Grazie – ha concluso – per aver confermato loro che Dio li ama e che un futuro senza violenza o trasgressione è possibile. Grazie per averci fatto sapere che siamo tutti uguali”.
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