“Oggi varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo”
Alle ore 9.30 di oggi, in Piazza San Pietro, il Santo Padre Francesco celebra la Santa Messa nella Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria e presiede poi il rito di Apertura della Porta Santa della Basilica di San Pietro per l’inizio del Giubileo Straordinario della Misericordia.
Ricorrendo oggi il cinquantesimo anniversario della chiusura del Concilio Vaticano II, la celebrazione eucaristica è introdotta dalla lettura di alcuni brani delle quattro costituzioni conciliari (Dei Verbum, Lumen gentium, Sacrosanctum concilium e Gaudium et spes), e da due brani rispettivamente di Unitatis redintegratio sull’ecumenismo e Dignitatis humanae sulla libertà religiosa. Al termine della Santa Messa, dopo i riti di Comunione, Papa Francesco raggiunge la Porta Santa della Basilica di San Pietro. In silenzio il Papa sale i gradini, apre la Porta Santa e sosta in preghiera sulla soglia. Quindi entra solo, e per primo, in Basilica, seguito dai Concelebranti e da alcuni rappresentanti di sacerdoti, religiosi, religiose e fedeli laici. Processionalmente si recano all’Altare della Confessione, da dove si svolge il rito conclusivo della Santa Messa.
Di seguito pubblichiamo il testo dell’omelia che Papa Francesco tiene nel corso della celebrazione eucaristica, dopo la proclamazione del Santo Vangelo:
Omelia del Santo Padre
Fratelli e sorelle,
tra poco avrò la gioia di aprire la Porta Santa della Misericordia. Compiamo questo gesto, come ho fatto a Bangui tanto semplice quanto fortemente simbolico, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, e che pone in primo piano il primato della grazia. Ciò che ritorna più volte in queste Letture, infatti, rimanda a quell’espressione che l’angelo Gabriele rivolse a una giovane ragazza, sorpresa e turbata, indicando il mistero che l’avrebbe avvolta: «Rallegrati, piena di grazia» (Lc 1,28). La Vergine Maria è chiamata anzitutto a gioire per quanto il Signore ha compiuto in lei. La grazia di Dio l’ha avvolta, rendendola degna di diventare madre di Cristo. Quando Gabriele entra nella sua casa, anche il mistero più profondo, che va oltre ogni capacità della ragione, diventa per lei motivo di gioia, motivo di fede e di abbandono alla parola che le viene rivelata. La pienezza della grazia è in grado di trasformare il cuore, e lo rende capace di compiere un atto talmente grande da cambiare la storia dell’umanità.
La festa dell’Immacolata Concezione esprime la grandezza dell’amore di Dio. Egli non solo è Colui che perdona il peccato, ma in Maria giunge fino a prevenire la colpa originaria, che ogni uomo porta con sé entrando in questo mondo. E’ l’amore di Dio che previene, che anticipa e che salva. L’inizio della storia di peccato nel giardino dell’Eden si risolve nel progetto di un amore che salva. Le parole della Genesi riportano all’esperienza quotidiana che scopriamo nella nostra esistenza personale. C’è sempre la tentazione della disobbedienza, che si esprime nel voler progettare la nostra vita indipendentemente dalla volontà di Dio. E’ questa l’inimicizia che attenta continuamente la vita degli uomini per contrapporli al disegno di Dio. Eppure, anche la storia del peccato è comprensibile solo alla luce dell’amore che perdona, il peccato solo sotto questa luce si capisce. Se tutto rimanesse relegato al peccato saremmo i più disperati tra le creature, mentre la promessa della vittoria dell’amore di Cristo rinchiude tutto nella misericordia del Padre. La parola di Dio che abbiamo ascoltato non lascia dubbi in proposito. La Vergine Immacolata è dinanzi a noi testimone privilegiata di questa promessa e del suo compimento.
Questo Anno Santo Straordinario è anch’esso dono di grazia. Entrare per quella Porta significa scoprire la profondità della misericordia del Padre che tutti accoglie e ad ognuno va incontro personalmente, è Lui che ci cerca, Lui che ci viene incontro. Sarà un Anno in cui crescere nella convinzione della misericordia. Quanto torto viene fatto a Dio e alla sua grazia quando si afferma anzitutto che i peccati sono puniti dal suo giudizio, senza anteporre invece che sono perdonati dalla sua misericordia (cfr Agostino, De praedestinatione sanctorum 12, 24)! Sì, è proprio così. Dobbiamo anteporre la misericordia al giudizio, e in ogni caso il giudizio di Dio sarà sempre nella luce della sua misericordia. Attraversare la Porta Santa, dunque, ci faccia sentire partecipi di questo mistero di amore, di tenerezz! Abbandoniamo ogni forma di paura e di timore, perché non si addice a chi è amato; viviamo, piuttosto, la gioia dell’incontro con la grazia che tutto trasforma.
Oggi, qui a Roma e in tutte le diocesi del mondo, varcando la Porta Santa vogliamo anche ricordare un’altra porta che, cinquant’anni fa, i Padri del Concilio Vaticano II spalancarono verso il mondo. Questa scadenza non può essere ricordata solo per la ricchezza dei documenti prodotti, che fino ai nostri giorni permettono di verificare il grande progresso compiuto nella fede. In primo luogo, però, il Concilio è stato un incontro. Un vero incontro tra la Chiesa e gli uomini del nostro tempo. Un incontro segnato dalla forza dello Spirito che spingeva la sua Chiesa ad uscire dalle secche che per molti anni l’avevano rinchiusa in sé stessa, per riprendere con entusiasmo il cammino missionario. Era la ripresa di un percorso per andare incontro ad ogni uomo là dove vive: nella sua città, nella sua casa, nel luogo di lavoro… dovunque c’è una persona, là la Chiesa è chiamata a raggiungerla per portare la gioia del Vangelo, per portare la Misericordia e il Perdono di Dio. Una spinta missionaria, dunque, che dopo questi decenni riprendiamo con la stessa forza e lo stesso entusiasmo. Il Giubileo ci provoca a questa apertura e ci obbliga a non trascurare lo spirito emerso dal Vaticano II, quello del Samaritano, come ricordò il beato Paolo VI a conclusione del Concilio. Attraversare oggi la Porta Santa ci impegni a fare nostra la misericordia del buon samaritano.
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di Redazione Papaboys
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