Ecco come muore il giusto. Liturgia.
Gesù non ha ancora lasciato la pia e laboriosa casa nazarena, quando Giuseppe s’ammala. Il servo buono e fedele, colui che ha imperniato in sé, nel suo sacrificio, nel suo lavoro, il governo della famiglia modello, è stanco ormai: non nello spirito, ma nel corpo.
Gli avrà già detto, il giovane Gesù, che Egli si sta preparando per uscire tra gli uomini a predicare, a morire? Non avrebbe diritto lui, Giuseppe, di assistere al trionfo tra gli umili di questo suo figlio putativo?
Giuseppe di una cosa sola s’è preoccupato, di compiere fedelmente l’opera di Dio. Ora non c’è più bisogno di lui: può dunque chiudere gli occhi in pace.
Nella casa di Gesù. Si può ben chiamare così la casa di Nazaret. Muore, Giuseppe, tra le umili cose che hanno visto venir su come vigoroso bellissimo virgulto il Figlio di Dio fatto uomo, che hanno contemplato la delicata purissima tenerezza della Madre per eccellenza. Non c’è nulla che lo turbi d’intorno. Ogni cosa non ricorda che bene, ogni cosa gli è stata d’aiuto nel suo compito. A lui vien voglia di benedirle tutte… È un cantico di riconoscenza che gli sale dal cuore, tranquillo, puro, sereno. È l’ora, l’ora di Dio. Se questa è la casa terrena del Figlio dell’Altissimo e gli basta già tanto, che cosa sarà mai la casa del Cielo?
Tra Gesù e Maria. Ecco, sì, la sua spina… Lasciare Gesù e Maria. Sarà per poco, ma la separazione gli punge il cuore, sino a farglielo sanguinare. Ma è un attimo: è la natura che si risente. La grazia vince. Una parola di Gesù, uno sguardo di Maria: egli s’abbandona tutto in un’onda di soavità, che non è terrena.
Si pensi che neppure Maria avrà questa sorte beata: essere così, nel supremo passaggio, assistita visibilmente dal cuore di Gesù.
Sul cuore di Gesù, Giuseppe s’addormenta in pace, sotto la carezza di Maria.
C’è, intorno, tutto un brusio d’ali.
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Giuseppe purissimo, mi sento tutto intenerire al pensiero della tua morte beata: mi pare che sarà per me più facile morire, ora che ti ho contemplato morire… Gesù e Maria ci sono anche oggi, e ci sei tu; e mi assisterete tutti, invisibili, nell’ultima ora. Di che temerò? Ma io, o Santo, non ho dato come te tutto al Signore, e tanto l’ho fatto soffrire. Ho troppo amato la vita del corpo, ho tanto tradito la vita dell’anima. Confuso e pentito, voglio oggi vivere secondo il tuo esempio: ottienimi il perdono e la santa perseveranza.
LETTURA
«Giuseppe – osserva Mons. Bougaud nel suo libro «Il cristianesimo e i tempi presenti» – dovette morire durante gli anni che Gesù passò nel silenzio di Nazaret, lavorando nella bottega del suo padre putativo.
Ma non si sa la data precisa della sua morte. Gli ultimi anni di quest’uomo, così grande nella sua umiltà, sono altrettanto sconosciuti che i suoi primi.
Egli si muove, silenzioso e discreto, tra i divini segreti di Betleem e di Nazaret. Egli è il velo di misteri che il mondo non comprenderà che più tardi. Scelto per questa delicata missione, Giuseppe possiede tutte le qualità che essa esige: il riserbo, la modestia, l’oblio di se stesso, una celestiale assenza di curiosità, e con questo una purezza d’angelo. Quando non c’è più bisogno del velo, egli s’invola silenziosamente nell’eternità. La sua fine ha lo stesso carattere d’assoluto distacco che presenta la sua vita.
Muore prima delle maraviglie della vita pubblica di Gesù.
Se ne va, senz’aver visto nulla, ma non desiderando né rimpiangendo nulla; fidandosi di Dio che sarà fedelissimo alle sue promesse; fissando gli occhi su quel dolce e tenero Fanciullo ch’egli sa chiamato a così grandi cose, e che, all’età di diciotto o vent’anni non ha ancor fatto altro che segare tavole e fabbricar aratri».
FIORETTO. Cercherò di prendere l’abitudine di fare ogni tanto, con cuore compunto, la preparazione alla morte.
GIACULATORIA. Patrono dei morenti, prega per noi.
Gli occhi si velano, l’alma è assopita… Gesù ti mormora: Io son la vita.
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