Ha chiesto che l’ordinazione sacerdotale fosse vissuta non nella cattedrale, come avverrà tra qualche giorno per altri suoi dieci compagni di seminario, ma dentro le mura di un carcere, quello di Apodaca, tristemente famoso per le condizioni di vita dei detenuti (nel 2012 una rivolta vi causò 38 vittime), come del resto accade in tutto il Messico.
Da pandillero, cioè membro di una banda criminale, a ministro di Dio, da detenuto a sacerdote. E’ il singolare percorso del trentacinquenne messicano Gabirel Everardo Zul Mejía. Venerdì sarà ordinato a Monterrey dal suo arcivescovo, mons. Rogelio Cabrera López.
E ha chiesto che questo momento così solenne fosse vissuto non nella cattedrale, come avverrà tra qualche giorno per altri suoi dieci compagni di seminario, ma dentro le mura di un carcere, quello di Apodaca, tristemente famoso per le condizioni di vita dei detenuti (nel 2012 una rivolta vi causò 38 vittime), come del resto accade in tutto il Messico.
Se Papa Francesco il Giovedì Santo lava i piedi ai carcerati, deve aver pensato Gabirel, anche un’ordinazione sacerdotale dentro a un istituto di pena può essere un segnale potente. Tanto più che il nuovo sacerdote, che si dichiara grande amante del calcio e della musica vallenata (un genere tradizionale latinoamericano originario della Colombia), si considera soprattutto un “convertito”. Proprio grazie all’esperienza del carcere e all’incontro con i detenuti. E’ qui che ha scoperto la misericordia di Dio e qui vuole iniziare la sua missione di pastore e testimone dell’amore misericordioso di Dio.
Dalle bande criminali al carcere. Così, infatti, egli racconta alcune fasi della sua vita: “Prima della mia conversione, prima dell’incontro con Cristo Gesù, vivevo come sommerso tra i confitti propri del pandillerismo”. Con questo nome, in America Latina, si intende l’attività criminale in bande organizzate, le cosiddette pandillas, appunto.
“Purtroppo, in quel periodo non apprezzavo l’amore dei miei genitori e dei miei fratelli. I miei comportamenti mi portarono a essere detenuto nel carcere di Topo Chico. Ricordo che mi misero in un reparto chiamato ‘Osservazione’. E fu proprio lì che iniziò il mio dialogo con Dio, iniziai a pregarlo”.
Diceva tra sé Gabirel, rivolgendosi al Signore: “Non ti conosco, però so che non mi lascerai qui dentro!”.
Riflette ora il novello sacerdote: “Ho pensato in seguito che Dio ha ascoltato la mia preghiera, ma anche quella di mia madre e della Chiesa, che in ogni momento prega per i giovani che hanno perso la strada”. E riconosce che “il tempo durante il quale sono stato in carcere mi è servito per incontrarmi con me stesso, per dare valore a quello che Dio mi permetteva di avere nella casa dei miei genitori, e per riconoscere che proprio in una cella ho trovato la libertà”.
La scoperta della misericordia di Dio attraverso i detenuti. La memoria torna ai tempi del carcere: “Ricordo alcune esperienza che hanno segnato quel momento della mia vita: i fratelli detenuti che ho conosciuto e si sono presi cura di me, mi hanno dato dei consigli… Soprattutto sono stati proprio loro inizialmente a insegnarmi quelle che ora riconosco come opere di misericordia, e attraverso di loro ho scoperto l’amore di Dio”.
Il carcere è poi rimasto un punto fermo, nella vita di Gabirel, anche una volta entrato in Seminario:
“Sono stato incaricato di specifici campi di apostolato, in realtà molto concrete dell’azione della Chiesa, come la pastorale vocazionale, la pastorale della salute e, appunto, la pastorale penitenziaria, in due occasioni. In una circostanza, durante il primo anno di Teologia, mi recavo in carcere quasi tutti i sabati. In seguito, quando ho iniziato a vivere nella parrocchia di Nostra Signora di Guadalupe, due anni fa. In questo periodo ho potuto accompagnare la pastorale penitenziaria, realizzando varie attività sia di carattere liturgico e spirituale, sia promuovendo il dialogo con le famiglie e i figli dei detenuti, sia organizzando varie attività di carattere sportivo e sociale. Ora vivo in un’altra parrocchia e la mia presenza in carcere è diventata più sporadica, ma ho continuato a fare visita ai miei amici detenuti e a organizzare qualche momento d’incontro e di festa”.
Un desiderio “profondo”. La scelta di farsi ordinare sacerdote proprio dentro al carcere di Apodaca, venerdì 27 luglio, è così apparsa a Gabirel per certi aspetti naturale, non qualcosa di straordinario, anche se probabilmente si tratta di una “prima assoluta”. E coerente con quanto domenica scorsa, nel presentare i nuovi sacerdoti dell’arcidiocesi, ha detto l’arcivescovo di Monterrey: “E’ impossibile pensare il sacerdozio lontano dal popolo”. Conclude allora il giovane che sta per diventare sacerdote: “Ora il mio desiderio è di tornare dai miei amici del carcere di Apodaca, e condividere con loro la gioia dell’ordine sacerdotale. Desidero profondamente che siano i testimoni della misericordia che Dio dona a un suo servitore, concedendomi di diventare sacerdote per tutta l’eternità”.
Fonte agensir.it
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