Res Publica et Societas

Strage di Erba, dieci anni fa il massacro che sconvolse l’Italia

11 Dicembre 2006 – La sera dell’11 dicembre di dieci anni fa, un lunedì, i vigili del fuoco sono chiamati aintervenire per un incendio: ad andare a fuoco è un appartamento della corte restaurata divia Diaz, a Erba. Ma quando le fiamme vengono spente e gli uomini entrano dalla finestra sitrovano davanti uno scenario che proprio non si aspettavano: disseminati in varie stanzedella casa, nel corridoio e sul pianerottolo, trovano dei corpi. Sono in tutto cinque: ci sonotre donne, un uomo e un bambino molto piccolo. Tutti sono stati accoltellati più volte.Presto, mentre il fumo si dirada, ci si rende conto che l’uomo è ancora vivo. L’Ansa batte il suo primo lancio alle 21.55, l’Italia inizia a conoscere l’orrore di quella che diventerà pertutti «la strage di Erba».

Le vittime e il sopravvisuto – Quei corpi massacrati con una ferocia che a tanti ricorda il caso di Rina Fort (la prima grande storia di cronaca nera del dopoguerra) sono quelli di: Raffaella Castagna, 30 anni; suo figlio Youssef Marzouk, 2 anni e tre mesi; la madre Paola Galli, 57 anni; la vicina di casa Valeria Cherubini, 55 anni. Il sopravvissuto si chiama Mario Frigerio, ha 65 anni ed è il marito della Cherubini. L’assassino lo ha sgozzato ma non poteva sapere che il signor Frigerio ha una malformazione congenita: la carotide non viene recisa e lui si salva. Quando sarà in grado di parlare – con un sibilo pieno di rabbia, fatica e amarezza – sarà l’unico testimone oculare di quel che è accaduto quella sera.

Il sospettato – Il fatto che i corpi siano stati sgozzati a molti fa pensare a un’esecuzione in stile islamico. E il fatto che il marito di Raffaella sia tunisino e non si trovi da nessuna parte fa scattare la «condanna» di giornalisti e opinione pubblica: Azouz Marzouk, 26 anni, diventa per qualche ora l’indiziato numero uno, il killer in fuga. La sua posizione è ancora più difficile a causa della sua storia personale fatta di precedenti penali per droga e carcere: solo pochi mesi prima è stato scarcerato per indulto. Se non è stato lui forse la strage è frutto di una ritorsione da parte di qualcuno conosciuto in cella, si ipotizza. Oppure è una faida familiare. 

8 Gennaio 2007 – Rosa Bazzi e Olindo Romano, che vivono nella stessa corte della strage ma a piano terra, proprio sotto la casa del massacro, vengono fermati e portati in carcere. La coppia da tempo era in “guerra” con la giovane famiglia del piano di sopra che a suo dire era troppo «rumorosa». Due giorni dopo l’eccidio, il 13 dicembre, era fissata la causa civile con Raffaella Castagna: la ragazza aveva denunciato i coniugi Romano per ingiurie e lesioni dopo una lite avvenuta la sera di Capodanno del 2005.

I quattro indizi – A insospettire gli inquirenti è stato anche il fatto che in quasi un mese dalla tragedia i due, intercettati, non abbiano mai commentato ciò che è accaduto pochi metri sopra le loro teste. Ma anche il silenzio è un indizio e si decide di intervenire quando, giorni dopo, Rosa pronuncia questa frase: «Adesso sì che possiamo dormire».

Le confessioni – Due giorni dopo il fermo, il 10 gennaio 2007, Rosa e Olindo crollano. All’inizio lui cerca di salvare lei prendendosi tutta la responsabilità: «Ho fatto tutto da solo». Poi lentamente si apre: «Ho sbagliato, lo so, devo pagare. Ecco, io vorrei solo vedere mia moglie ogni tanto. Per il resto, pago tutto». Quello che colpisce subito è il rapporto simbiotico tra i due. Lei lavora come donna delle pulizie e ha avuto un’infanzia difficile; lui è dipendente di una ditta di raccolta e smaltimento rifiuti. Non hanno figli, non hanno amici, non hanno alcuna relazione con parenti, nel loro mondo esistono solo loro due. La casa è il loro regno insieme al camper con cui fanno qualche gita. Sempre insieme, sempre da soli, sempre uniti. Sono una cosa unica come spiega bene il pubblico ministero Massimo Astori con un’immagine potente: «Rosa e Olindo sono un quadrupede». La loro preoccupazione principale, infatti, è quella di non essere separati. Chiederanno addirittura una «cella matrimoniale» e le foto di loro due sorridenti dietro le sbarre, durante il processo, rimane uno degli scatti simbolo della strage.



La ricostruzione – In base alle confessioni la Procura ricostruisce così la sera di quell’11 dicembre. Verso le 19 Olindo e Rosa salgono le scale e raggiungono l’appartamento dei detestati vicini. Hanno portato due coltelli di diverse dimensioni e una spranga di ferro. La prima a essere colpita è Raffaella che è all’ingresso, poi tocca alla madre Paola e infine al piccolo Youssef. I Romano hanno pensato anche a come cancellare le loro tracce: daranno fuoco all’appartamento. Appiccano l’incendio grazie a un combustibile liquido ma si rendono conto che non è tanto semplice bruciare un corpo umano. Danno alle fiamme il copriletto e altri angoli della casa. Per la corte inizia a diffondersi il fumo. All’ultimo piano Valeria Cherubini e il marito Mario Frigerio sentono «un grido di sofferenza mai udito». Stanno per portare il cane a fare una passeggiata e decidono di andare a vedere se Raffaella ha bisogno di aiuto. Purtroppo si imbattono negli assassini. Valeria prova a scappare ma Rosa la insegue e la finisce quando la donna ha quasi raggiunto casa sua. Di Mario si occupa invece Olindo. Quando la missione omicida sembra conclusa, la coppia lascia la scena del crimine.

Il supertestimone – Dopo una lunga convalescenza, Mario Frigerio esce dall’ospedale: non può più camminare come prima (lui che amava le passeggiate in montagna) e la voce è diventata un basso sibilo. Con tutte le sue forze accusa Olindo in aula: «Lo ripeterò finché campo: è stato Olindo, mi fissava con occhi da assassino, non dimenticherò quello sguardo per tutta la vita, ho come una fotografia». Il racconto del sopravvissuto getta tutta l’aula nel silenzio più assoluto: «Olindo era una belva, mi schiacciava con il suo peso, era a cavalcioni su di me. Ha estratto il coltello mentre mia moglie invocava aiuto. Poi mi ha tagliato la gola, non ho sentito più nulla, solo il sangue che usciva e il fuoco che divampava. Ho pensato: se non muoio per la ferita, muoio tra le fiamme».

La condanna – Olindo Romano e Rosa Bazzi, che dopo la prima confessione hanno ritrattato tutto e ancora oggi si dicono innocenti, vengono condannati all’ergastolo con isolamento diurno per tre anni. È il 26 novembre 2008. La sentenza viene confermata anche in appello e in Cassazione. Lui è detenuto nel carcere di Opera, lei sta in quello di Bollate. Entrambe le strutture sono in provincia di Milano. La coppia si vede tre volte al mese per due ore. E adesso che sono passati 10 anni spera in un permesso premio. Lo ha scritto Olindo in una lettera: «Continuo a vedere Rosa tre volte al mese e questa è la cosa più importante. Spero che prima o poi io e Rosa possiamo avere i permessi premio così potremmo vederci tranquillamente e in santa pace come facevamo prima. Sarebbe bello avere un permesso premio da soli con Rosa per farci un giro in camper e fermarci a mangiare una pizza lungo il lago. Il problema è che il camper ce l’hanno venduto. Chissà se il magistrato di sorveglianza ci darà l’ok. Mi ricordo il giorno della strage e fino a sera è stato un giorno normale: lavoro, casa, Rosa, McDonald’s… È da dieci anni che dura questo incubo, ma aspettiamo fiduciosi la revisione del processo. Sono innocente». In fondo alla lettera l’ennesima dichiarazione d’amore per la moglie: «Quello tra me e Rosa è un amore che nessuno può dividere».

I luoghi – La casa in cui si sono stati uccisi Raffaella Castagna, Youssef Marzouk, Paola Galli e Valeria Cherubini è stata donata da Carlo Castagna alla Caritas ed è diventata un alloggio per famiglie in difficoltà. L’appartamento-tana di Olindo e Rosa è stato venduto all’asta per 69mila euro. Le prime due sedute erano andate deserte. Il ricavato della vendita della casa, così come quello del camper e dell’auto dei killer, è stato usato per risarcire le vittime.



Redazione Papaboys (Fonte www.corriere.it/Angela Geraci)

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