Nelle prossime elezioni presidenziali, commenta -Nat da Polis-, per la prima volta un presidente turco verrà eletto con suffragio universale, voluto proprio da Erdogan con il referendum del settembre 2010, stravinto dal premier. Il timore è che dopo i fatidici fatti elencati, i conti non tornino per il “generalissimo” Erdogan, che sarà perciò costretto a passare sotto le forche caudine delle prossime elezioni amministrative, previste in marzo. Per aspirare al soglio precedenziale, egli dovrà cercare di conservare il 40% del suo elettorato, vista l’impossibilità di ripetere il 50% delle ultime elezioni del 2011. I giornalisti turchi prevedono però che a garantirgli la soglia del 40% non sono sufficienti né il suo autoritarismo (scandaloso l’ultimo provvedimento sulla censura e il controllo della rete di internet, varata dal governo e firmata dal presidente Abdullah Gul), ne l’incapacità dell’ opposizione.
Il primo folle progetto, riguarda la riapertura della Scuola teologica di Chalki, sembra di trovarsi davanti a una “tela di Penelope”: chiusa nel 1971, dopo 150 anni di funzionamento, gli attuali governanti hanno fatto frequenti promesse di riapertura, con relative speculazioni e pressione della Turchia verso l’Unione europea e gli USA, nel contesto di una vaga reciprocità e di scambi di favori. La trasformazione di Santa Sofia in moschea è un sogno che conservatori e nazionalisti turchi cullano da 70 anni. La questione ha occupato quasi tutti i leader della destra turca come Menderes, Ozal e Erbakan. Un anno fa, alla domanda dei membri del suo partito su quando Santa Sofia sarebbe stata aperta come moschea, Erdogan ha risposto: “Il Sultanahmet [la Moschea Blu, che è di fronte a Santa Sofia] alla preghiera del venerdì è quasi vuota. Pensiamo prima a riempire quello; poi penseremo a Santa Sofia”. Secondo diversi giornalisti locali, ormai, sia gli elettori nazional-conservatori, sia il Primo ministro che i funzionari dell’AKP, aspettano il tempo opportuno per lanciare questo progetto. Ma se la conversione in moschea non è affatto difficile, potrebbe diventare difficile affrontare le reazioni dell’occidente e del mondo intero.
La basilica di Santa Sofia (in greco: Ναός τῆς Ἁγίας τοῦ Θεοῦ Σοφίας, in turco: Ayasofya Müzesi), è da intendersi come la Divina Sapienza. E’ uno dei principali monumenti di Istanbul. Il 23 febbraio 532, pochi giorni dopo la distruzione della seconda basilica, l’imperatore Giustiniano I decise di costruire una nuova basilica completamente diversa, più grande e più maestosa rispetto a quelle dei suoi predecessori. Giustiniano scelse come architetti Isidoro di Mileto e il fisico e matematico Antemio di Tralle, Antemio, tuttavia, morì nel primo anno dei lavori. L’Imperatore aveva fatto procurare il materiale da tutto l’impero: colonne ellenistiche dal tempio di Artemide di Efeso, grandi pietre dalle cave di porfido egiziane, marmo verde dalla Tessaglia, pietra nera dalla regione del Bosforo e pietra gialla dalla Siria. Più di diecimila persone vennero impiegate nel cantiere. Questa nuova chiesa fu riconosciuta già all’epoca come la basilica più grande della cristianità. I mosaici all’interno della chiesa vennero, comunque, completati solo sotto il regno dell’imperatore Giustino II (565-578). Santa Sofia fu così la sede del patriarca ortodosso di Costantinopoli e il luogo principale per le cerimonie imperiali dei reali bizantini, come le incoronazioni. Alcuni terremoti accaduti nel mese di agosto 553 e il 14 dicembre 557 causarono fessurazioni nella cupola centrale e nella semicupola orientale. La cupola principale crollò completamente durante un terremoto successivo, avvenuto il 7 maggio 558, distruggendo l’ambone, l’altare e il ciborio. L’incidente fu dovuto principalmente alla portante troppo alta e al carico enorme della cupola che era troppo piatta. Questi fattori hanno provocato la deformazione dei piloni che sostenevano la cupola. L’imperatore ordinò un immediato ripristino. Egli affidò i lavori a Isidoro il Giovane, nipote di Isidoro di Mileto, che utilizzò materiali più leggeri ed elevò la cupola di altri 6,25 metri, conferendo all’edificio la sua altezza interna attuale di 55,6 metri.
Nel 726, l’imperatore Leone III Isaurico emise una serie di editti contro la venerazione delle immagini, ordinando all’esercito di distruggere tutte le icone, inaugurando il periodo di iconoclastia bizantina. A quel tempo, tutte le immagini religiose e le statue furono rimosse dalla Basilica di Santa Sofia. Dopo una breve tregua, sotto l’imperatrice Irene (797-802), gli iconoclasti hanno continuato il loro tentativo di riforma. La basilica subì in seguito altri gravi danni, prima in un grande incendio nel 859 e di nuovo in un terremoto avvenuto l’8 gennaio 869 che fece quasi collassare nuovamente la cupola. L’imperatore Basilio I ordinò che la chiesa fosse riparata. Dopo un nuovo grande terremoto avvenuto il 25 ottobre 989, che rovinò la grande cupola, l’imperatore bizantino Basilio II chiese all’architetto armeno Trdat, creatore delle grandi chiese di Ani e Argina, di riparare la cupola. I suoi principali lavori riguardarono l’arco occidentale e una parte della cupola. L’entità del danno richiese sei anni di riparazioni, la chiesa fu riaperta il 13 maggio 994. Nel suo libro De ceremoniis (“Libro delle Cerimonie”), l’imperatore Costantino VII (913-919) scrisse un resoconto dettagliato delle cerimonie che si tenevano a Santa Sofia con l’imperatore e il patriarca.
Nel 1453 Sultano Maometto II assediò Costantinopoli guidato in parte dal desiderio di guadagnare la città all’Islam. Il sultano promise ai suoi soldati tre giorni di libero saccheggio se la città fosse caduta, dopo di che avrebbe rivendicato per sé stesso le ricchezze. La Basilica di Santa Sofia non fu esentata dal saccheggio, diventandone il punto focale, in quanto gli invasori ritenevano che vi fossero contenuti i più grandi tesori della città. Poco dopo il crollo delle difese della città, molti dei saccheggiatori si diressero verso Santa Sofia e abbatterono le sue porte. Durante l’assedio, venivano spesso celebrate liturgie e preghiere dentro la basilica che era diventata il rifugio per molti di coloro che non erano in grado di contribuire alla difesa della città. Intrappolati nella chiesa, la congregazione e i rifugiati divennero bottino da dividere fra gli invasori. L’edificio fu profanato e saccheggiato e gli occupanti resi schiavi o uccisi. Quando il Sultano e la sua corte entrarono nella chiesa egli ordinò che essa venisse immediatamente trasformata in una moschea. Uno degli Ulama salì così sul pulpito e recitò la Shahada. Subito dopo la conquista di Costantinopoli, Maometto II convertì la Basilica di Santa Sofia nella moschea di Aya Sofya. Come descritto da numerosi visitatori occidentali (come il nobile cordovano Pero Tafur e il fiorentino Cristoforo Buondelmonti) la chiesa si trovava al momento della conquista in uno stato fatiscente; il sultano ne ordinò allora la pulizia e la sua riqualificazione aggiungendo i minareti e intonacando i mosaici parietali. Intorno al 1481 un piccolo minareto venne eretto all’angolo sud-ovest dell’edificio, sopra la torre delle scale. In seguito, il successivo sultano, Bayezid II (1481-1512), fece costruire un altro minareto nell’angolo nord-est. Uno di questi cadde a causa del terremoto del 1509 e intorno alla metà del XVI secolo entrambi furono sostituiti da due nuovi minareti, posti agli angoli est e ovest dell’edificio.
Nel 1935, il primo presidente turco e fondatore della Repubblica di Turchia, Mustafa Kemal Atatürk, trasformò l’edificio in un museo. I tappeti vennero rimossi e le decorazioni del pavimento di marmo riapparvero per la prima volta dopo secoli mentre l’intonaco bianco che copriva molti dei mosaici fu rimosso. Tuttavia, le condizioni della struttura erano deteriorate. Con l’aiuto di società di servizi finanziari American Express, il World Monuments Fund fissò una serie di sovvenzioni per il 1997-2002 al fine del restauro della cupola. La prima fase del lavoro fu la stabilizzazione strutturale e la riparazione del tetto rotto, ciò fu realizzato con la partecipazione del Ministero della Cultura turco. La seconda fase, la conservazione degli interni della cupola, offrì l’opportunità di impiegare e addestrare giovani restauratori turchi nella cura dei mosaici. a cura di Giovanni Profeta
* La fonte dell’articolo è tratta dal sito: asianews
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