R. – E’ abbastanza difficile, in questo momento, trovare le parole esatte per descrivere una situazione che è davvero catastrofica. Potremo dire che lo Stato del Centrafrica è attualmente uno Stato completamente e capillarmente occupato da una ribellione che è fatta del 90 per cento di mercenari del Ciad e del Sudan, dove ovunque dettano legge i signori della guerra: sono diventati loro gli amministratori, i poliziotti, i gendarmi, giudici… Il loro modo di governare è attraverso la violenza: quindi innescano granate, sparano sulla popolazione, sequestrano le persone e le liberano, dopo averle torturate, soltanto in cambio di un riscatto.
D. – Quanto c’entra, a questo punto, la religione? Sappiamo che il presidente deposto François Bozizé era cristiano: si parla di contrapposizione tra cristiani e musulmani… Ma, appunto, quanto c’è di religioso in questo confronto in atto?
R. – C’è qualcuno che cerca di manipolare, a livello internazionale, la visione di questa guerra che non è assolutamente una guerra religione: è una guerra politica ed economica, di conquista del potere e anche di vendette personali, che purtroppo è formata da un piccolissimo gruppo di centrafricani, perché il 90 per cento di questi ribelli sono dei mercenari ciadiani e sudanesi, che sono tra l’altro di religione musulmana. Che cosa è successo? Mentre occupavano tutti i villaggi, tutti i luoghi amministrativi, queste persone parlavano soltanto l’arabo, né il francese né la lingua nazionale: quindi era più facile la comunicazione con i musulmani, che da sempre convivono pacificamente in Centrafrica con i cristiani. E’ stato più facile, per loro, offrire una certa protezione alla comunità musulmana in cambio di soldi, di piccoli riscatti – anche da parte loro – di piccole tangenti oppure in cambio di favori. Quindi si sono accaniti contro i cristiani, contro la comunità cristiana, ma non per delle ragioni di religione!
D. – Come vive, in tutto questo, la popolazione, quella che magari non entra attivamente a far parte del conflitto?
R. – In questo momento la situazione è davvero drammatica! Ci sono 210 mila sfollati interni a Bangui, che è sì la capitale ma non conta più di 800 mila abitanti: quindi una grande fetta di popolazione abita in luoghi improvvisati, in tende improvvisate; non ha il minimo necessario… Sono totalmente insufficienti gli aiuti inviati dalla Comunità internazionale. Per il momento sono soprattutto la Chiesa – attraverso con la Caritas – e la Croce Rossa Internazionale che danno un supporto.
D. – Qual è la situazione in particolare di voi missionari, che siete presenti ormai da tempo e che continuate ad esserlo nelle varie località in cui siete presenti nella Repubblica Centrafricana? Come riuscite ad operare e quali sono – anche per voi – le maggiori difficoltà in questo periodo?
R. – Io vorrei rispondere a questa domanda dedicando qualche secondo ai preti diocesani e per i religiosi diocesani, perché sono quelli che in questi mesi hanno subito più danni, sono stati più spogliati, più umiliati e che sono dovuti anche scappare dalle parrocchie, dalle case dove erano. Sono loro che purtroppo hanno subito le conseguenze peggiori fino ad ora! I missionari, soprattutto i missionari stranieri, per il momento hanno la sofferenza di condividere questo momento difficile del popolo, ma al di là di alcune perdite materiali – soprattutto la perdita delle automobili che sono state rubate in tutto il Paese; ne abbiamo salvate un po’ nella capitale – non hanno subito danni alla persona… Loro continuano ad essere presenti e la loro presenza è proprio un segno di speranza per la gente. Come dire: finché ci sono loro, c’è ancora la possibilità che il futuro sia migliore! Sono un sostegno, sono un appoggio e dove è possibile far arrivare degli aiuti, sono loro che gestiscono anche delle situazioni di emergenza. Si vede che il Vangelo che può essere vissuto e annunciato ovunque e in questa situazione ha davvero una grande portata profetica.
(Radio Vaticana)
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