Sui giornali leggiamo che, dopo la sentenza della Consulta, più di tremila persone avrebbero fatto richiesta di ovociti e spermatozoi per una fecondazione eterologa. È una cifra realistica? Sono i numeri forniti da una associazione che rappresenta alcuni centri di fecondazione assistita, la Cecos. Penso che siano dati verosimili. C’è da dire che in dieci anni soltanto 20 casi di richieste di eterologa sono state vagliate dai tribunali. Se ne è occupato sempre lo stesso pool di avvocati. Non si parla di numeri esorbitanti e di un grande problema sociale.
Cosa dovrebbe fare il governo? C’è un vuoto normativo. Non c’è traccia di una norma che stabilisca come fare l’eterologa. Per esempio: si potrà donare cellule riproduttive ai propri parenti? Inoltre, vista la novità che introduce la sentenza, non penso si debba applicare con un atto amministrativo, un regolamento o con un decreto del Governo. C’è bisogno di un dibattito pubblico e parlamentare. Cedere il proprio patrimonio genetico non è come cedere una cellula qualunque. Introduce una rivoluzione. Potranno esistere due madri: la gestante e chi concepisce. Prima dell’avvento di questa tecnica era naturale che madre, per legge, fosse colei che partorisce. Ora, invece, alla madre che partorisce si affiancherà la madre che concepisce e dona il patrimonio genetico, rinunciando per contratto a esserlo.
I bambini concepiti con l’eterologa potranno conoscere l’identità della madre biologica? Sarebbe in linea con l’orientamento dei paesi europei, dove si sono fatti molti passi indietro dopo l’introduzione dell’eterologa. In Gran Bretagna, Olanda, Norvegia e Svezia si è stabilito che l’anonimato non prevalga sulla volontà dei figli di conoscere la propria origine. È ragionevole: quando un essere umano dice “io” non si riferisce semplicemente a se stesso, ma alla propria storia, alla famiglia, alla sua provenienza. È un bisogno insopprimibile sapere da dove si viene.
La maternità surrogata (il cosiddetto utero in affitto) sarà comunque vietato? C’è scritto chiaramente nella legge 40 e la Consulta non ne ha parlato. La pena per chi viola il divieto di maternità surrogata va dai 3 mesi ai 2 anni di detenzione e una multa. Il problema non è se rimarrà il divieto. Il problema è che i magistrati non lo applicano. di Francesco Amicone
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