Dieci milioni di persone rischiano di morire di fame per la siccità che sta colpendo l’Etiopia. Anche se ha uno dei tassi di crescita più elevati in Africa, l’economia dell’Etiopia dipende ancora pesantemente dall’agricoltura, che impiega tre quarti della forza lavoro della nazione che conta 95 milioni di persone.
E’ la più grave siccità degli ultimi trent’anni e dimostra come i cambiamenti climatici siano strettamente legati all’emergenza alimentare. Veronica Di Benedetto Montaccini per Radio Vaticana ne ha parlato con Vichi De Marchi, portavoce del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite.
R. – Sappiamo che in questi mesi “El Niño” sta causando fortissime perturbazioni, con conseguenti zone esposte a siccità. E ad essere colpita è soprattutto l’Africa australe e orientale. È una spirale: si inizia dal raccolto; e poi la siccità arriva anche al bestiame, che non ha di che abbeverarsi né di che mangiare. La siccità è insomma una catena talmente intrecciata che le conseguenze della siccità sull’agricoltura hanno un impatto immediato sulle condizioni di vita in generale della popolazione.
D. – L’Africa è più vulnerabile di altri Continenti ai cambiamenti climatici?
R. – Assolutamente sì, perché non solo ci sono moltissime regioni molto povere, ma perché gran parte del sistema economico di molti Paesi africani è basato sull’agricoltura, sulla pastorizia, tutte attività che dipendono dalle precipitazioni. Dobbiamo pensare che nel mondo ci sono 500 milioni di piccole famiglie contadine, che sono il cuore del mondo agricolo, e gran parte di queste sono contadini che dipendono dal clima. Proprio in questi giorni di conclusione dei lavori di COP21, abbiamo presentato una mappa interattiva per poter incrociare i dati che riguardano l’andamento climatico, l’insicurezza o la sicurezza alimentare, e gli elementi economici o sociali. E facendo delle proiezioni da qui al 2030, al 2050 fino al 2080, vediamo che senza un drastico intervento per ridurre le emissioni nocive, il clima sarà sempre più un fattore di insicurezza alimentare.
D. – E questo porta anche a conflitti per le risorse?
R. – Ci sono due elementi che riguardano i conflitti: da una parte le guerre generano fame; e nello stesso tempo la fame è un generatore di conflitti. La fame, il cibo e l’acqua. Sempre di più oggi i conflitti nascono anche per il controllo di quest’ultima risorsa che sta diventando più preziosa che mai.
D. – L’Etiopia negli ultimi dieci anni ha avuto una grande crescita economica, di 10 punti di Pil, ma è ancora legata all’andamento delle piogge e della carestia. Come si fa a prevenire una siccità di tale portata?
R. – Innanzitutto c’è una responsabilità del mondo internazionale nell’affrontare il tema del clima. L’altro elemento è che bisogna costruire i fattori di resilienza, per non far trovare le popolazioni impreparate alla siccità. Per esempio le sperimentazioni sulle sementi più resistenti anche a periodi di poca pioggia. Ora, proprio in Etiopia c’è un progetto che ha avuto moltissimo successo – il “Progetto Meret” – basato sul lavoro in campagna per costruire vasche d’acqua comunicanti, in modo che anche quelle poche risorse che ci sono siano gestite al meglio e in tutto il loro valore.
Redazione Papaboys (Fonte it.radiovaticana.va/Veronica Di Benedetto Montaccini)
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