L’Europa può essere il luogo “in cui è possibile la speranza”. E’ quanto scrive il premier Matteo Renzi nel messaggio di apertura del sito della presidenza italiana dell’Ue. “Non provate un brivido pensando di essere chiamati oggi a realizzare quel sogno degli Stati Uniti d’Europa, avuto da quella generazione che nelle macerie del dopoguerra iniziò la creazione di un nuovo soggetto? Il tema dell’Europa è dire ai nostri figli, noi che siamo la generazione Erasmus, che è possibile che l’Europa oggi sia il luogo in cui è possibile la speranza”. Il 2 luglio Renzi presenterà il programma al Parlamento europeo riunito in sessione plenaria a Strasburgo. Il primo appuntamento previsto è fissato per il 7 luglio, quando si riunisce l’Eurogruppo. Il giorno dopo è il turno dell’Ecofin, mentre il 10 e l’11 si incontrano i ministri di Giustizia e Affari interni per un consiglio informale in Italia. Il 17 i responsabili dell’Economia si riuniscono per un Ecofin sul budget. Sempre il 17 sono in agenda i consigli informali Ambiente e Occupazione. Il 21 due giorni di consiglio Competitività, il 22 gli Affari esteri e il 24 un informale Ambiente dedicato ai temi dell’energia. L’opportunità prevista per l’Italia è una grande scommessa. L’Europa non ha alcuna identità. E’ prigioniera della lobby. Sembra lontana dalle sue radici. Quale è la scommessa su cui puntare per vincere? Lo ha ricordato Papa Francesco, nell’intervista rilasciata al messaggero: “Esiste una gerarchia di valori da rispettare nella gestione della cosa pubblica? “Tutelare sempre il bene comune. La vocazione per qualsiasi politico è questa. Un concetto ampio che include, per esempio, la custodia della vita umana, la sua dignità. Paolo VI usava dire che la missione della politica resta una delle forme più alte di carità. Oggi il problema della politica – non parlo solo dell’Italia ma di tutti i Paesi, il problema è mondiale – è che si è svalutata, rovinata dalla corruzione, dal fenomeno delle tangenti. Mi viene in mente un documento che hanno pubblicato i vescovi francesi 15 anni fa. Era una lettera pastorale che si intitolava: Riabilitare la politica e affrontava proprio questo argomento. Se non c’è servizio alla base, non si può nemmeno capire l’identità della politica”. E ancora: “È l’ambiente che facilita la corruzione. Non dico che tutti siano corrotti, ma penso sia difficile rimanere onesti in politica. Parlo dappertutto, non dell’Italia. Penso anche ad altri casi. A volte vi sono persone che vorrebbero fare le cose chiare, ma poi si trovano in difficoltà ed è come se venissero fagocitate da un fenomeno endemico, a più livelli, trasversale. Non perché sia la natura della politica, ma perché in un cambio d’epoca le spinte verso una certa deriva morale si fanno più forti”.
Certamente le parole del Papa sono un programma politico da non sottovalutare. Nell’epoca del relativismo aggressivo, in cui tutto è permesso in nome della libertà di scelta, l’uomo tende a focalizzare tutto sull’avere, trascurando l’essere. Ciò produce scontri sociali, che tante volte si traducono in intolleranza verso chi non è allineato al ‘politicamente corretto’. L’Europa ha rifiutato il fondamento cristiano dalle sue costituzioni. Ebbene la scelta fatta a quel tempo, ha avuto effetti negativi sulla struttura stessa dell’Unione. “Tutti coloro che hanno a cuore l’autentico umanesimo e il futuro dell’Europa sappiano riscoprire, apprezzare e difendere il ricco patrimonio culturale e religioso di questi secoli”. Con queste parole Benedetto XVI ha concluso un’udienza generale nel 2009, richiamando il desiderio di Giovanni Paolo II di veder ricordato nel Trattato costituzionale dell’Unione Europea un riferimento alle radici cristiane, patrimonio comune dell’Oriente e dell’Occidente. Molti storici, credenti e non credenti, cristiani e non cristiani, presero posizione sostenendo la richiesta di Giovanni Paolo II e tra questi anche l’italiano Sergio Romano, laico e anticlericale. Nel 2002 scrisse sul “Corriere della Sera”: “Dovrebbe dunque la Costituzione europea, come chiede ora implicitamente Giovanni Paolo II, menzionare le religioni e riconoscere, come suggerisce Francesco Cossiga, le radici cristiane dell’Europa? Se accettassimo questi suggerimenti renderemmo onore alla verità. La storia politica dell’Europa è cristiana”. Tuttavia, spiegò, c’è la possibilità che «in epoca di ecumenismo e multiculturalismo» in futuro anche gli islamici chiederanno di riconoscere «le radici giudeo-cristiano-islamiche dell’ Europa». Per questo, scrisse, «le costituzioni non dovrebbero essere documenti filosofici. Le migliori sono quelle che definiscono con la massima precisione possibile la struttura dello Stato, i compiti delle istituzioni, le regole da adottare per il trasferimento dei poteri da un governo all’altro e qualche indispensabile principio generale». I suoi timori tuttavia non sono per nulla giustificati: se occorre riconoscere le radici cristiane in quanto evidenza storica, lo stesso non si può dire per le radici islamiche e per lo stesso motivo non potranno mai essere riconosciute. Indipendentemente dal multiculturalismo.
Un’evidenza storica per credenti e non credenti, dicevamo. Il cristiano Roger Scruton, tra i più brillanti filosofi inglesi in attività, diceva nel 2012: «Penso che tutte le Chiese europee debbano trasmettere il messaggio che, senza di loro, l’Europa non esiste. Le nostre società sono creazioni cristiane, che dipendono su ogni singolo punto da una rivelazione che è stata mediata dalle Chiese e che ha assunto una dimensione sacramentale. Negare questo vuol dire eliminare ogni barriera rispetto a quell’entropia globale che minaccia anche l’Europa. Affermarlo, vuol dire iniziare a riscoprire le cose per cui dobbiamo lottare e che dobbiamo difendere dalla corruzione». Sulla stessa riga il filosofo non credente André Comte-Sponville, già docente della Sorbona di Parigi, ha detto a sua volta: «L’origine cristiana dell’Europa è una evidenza storica. Se l’Europa ignora le sue radici cristiane cesserà di essere una civiltà e di essere solo un mercato». La civiltà dell’Europa cristiana è stata costruita da gente il cui scopo non era affatto quello di costruire una “civiltà cristiana”. La dobbiamo a persone che credevano in Cristo, non a gente che credevano nella religione in generale. Quella che si chiama “civiltà cristiana” non è nient’altro che l’insieme degli effetti collaterali che la fede in Cristo ha prodotto sulle civiltà che si trovavano sul suo cammino. Quando si crede alla Sua resurrezione, e alla possibilità della resurrezione di ogni uomo in Lui, si vede tutto in maniera diversa e si agisce di conseguenza, in tutti i campi. Ma serve molto tempo per rendersene conto e per realizzare questo nei fatti. Per questo, forse, noi siamo solo all’inizio del cristianesimo.