Avevamo ancora nella mente le parole di fiduciosa speranza con le quali il Presidente Napolitano concludeva i suoi auguri agli Italiani. Aveva ricordato esempi di cittadini che con la loro “naturale”, quotidiana eccellenza dimostrano i valori insiti nel nostro popolo.
Ma l’anno si è aperto con tragedie interne e internazionali, che dimostrano che per mantenere alti i valori occorre esservi allenati: con l’educazione, la formazione e il reciproco riconoscimento. Gli attentati di Parigi hanno fatto sospendere, per una breve tregua, gli argomenti di politica interna più acutamente polemici. In realtà anche quanto possiamo argomentare sui nostri comportamenti interni ha riflesso sulla globalità delle scelte: il mondo è troppo piccolo per mantenerci ignari e, insieme, troppo vasto per non perderci nella complicazione e negli intrecci che rendono esplicite molte ambiguità.
Mai una reazione come quella di Parigi, eppure negli stessi giorni centinaia di morti sono stati causati da fanatici che hanno imbottito di esplosivo tre bambine in Nigeria. L’ISIS si sta espandendo con chiara mira sui territori afghani, iracheni; di quanta parte abbia già inquinato la Siria non si parla quasi più. Che dire dei paesi nord africani come la Libia o del Corno, come la Somalia?
Di guerra si tratta, non di civiltà, ma di potere che vuole annientare la civiltà delle democrazie in cui politica e religione non sono la stessa cosa; in cui la libertà non riguarda solo le opinioni, ma anche il diritto a professare una fede. L’Europa farebbe bene a costituirsi in vera unità politica e culturale, dalle radici ellenico-ebraico-cristiane per costruire un popolo unito da una precisa identità. Un’identità che non discrimina ma che dialoga; che applica i principi inviolabili dei diritti umani quando evita di fare ghetti nelle periferie (le banlieu di Parigi non avevano insegnato niente? Oppure le rivolte nei quartieri di Roma e Milano?).
Urge una visione strategica di breve, medio e lungo termine dell’immigrazione. Sicurezza e libertà se vengono contrapposte non costruiscono serenità sociale; tuttavia entrambe sono irrinunciabili, pena indebolire il tessuto stesso del sistema democratico. Perciò tocca alla politica trovare le soluzioni idonee all’interno dei singoli Stati e nella vasta platea mondiale. Abbiamo osservato con una certa emozione 50 Capi di Stato e di Governo, sottobraccio, e milioni di cittadini – non solo francesi e non solo non islamici e non ebrei – esprimere una unità di intenti nel difendere valori che duemila anni di civiltà occidentale hanno reso salde fondamenta del vivere civile.
Trascorsa ‘a nuttata siamo sicuri di marciare ancora nella stessa direzione? Come è apparsa evidente la debolezza di una Europa senza difesa comune, senza politica estera comune, senza una politica di unione non sull’euro ma sulla cittadinanza. Dobbiamo osare a vivere insieme! Ci sono ormai molti livelli di governance sovranazionale ma il virus della sovranità nazionale non consente di renderli efficienti. Perfino l’intelligence dei diversi Stati ha lasciato intendere che non c’è una stretta, continuativa collaborazione. La politica estera non è una specialità per addetti: è e deve essere la guida anche per quella interna e perciò deve coinvolgere i cittadini. Questi non possono essere sollecitati solo per le manifestazioni a favore di o contro.
Tocca a loro sostenere i governi che scelgono le relazioni internazionali più produttive per la coesistenza pacifica. Difficile non porsi la domanda (eppure non viene posta) da dove vengono le armi utilizzate da fanatici terroristi e da fazioni rivoltose in tutte le guerre africane e chi le finanzia. E’ tracciato il prelievo di mille auro in banca per il singolo cittadino e non vengono tracciate montagne di finanziamenti per il commercio delle armi…è politica interna anche questa. Alla coerenza ci si allena e non può essere frutto di volubili, opportunistiche, scelte. Basti ricordare come di volta in volta giudichiamo la presenza delle forze dell’ordine sul territorio.
Probabilmente è possibile un efficientamento del loro dispiegarsi. Per esempio le scorte solo a chi ne ha bisogno; gli agenti in strada e non negli uffici; meglio attrezzati e non a gruppi affinché siano guardinghi e attenti, armi in pugno e non seduti negli automezzi, ecc.ecc. Se le immagini ricordate di Parigi evocano la necessità della buona politica, evidentemente occorre anche in casa nostra recuperarne la credibilità, ammaccata com’è dalla corruzione. Non basta indignarsi per gli scandali perché anche in questo caso occorre “marciare uniti”.
Ciò significa un alto senso dei diritti e dei doveri di cittadinanza e di responsabile civismo. Non evadere il fisco, far valere davvero il merito a scuola come nel lavoro, perché l’uguaglianza è un gradino da raggiungere più in alto e non egualitarismo che spinge in basso. Troppi Italiani, giovani e non, stanno trovando rispetto delle competenze e della dignità fuori dai nostri confini: noi li prepariamo a carico della comunità e all’estero offrono le loro capacità. Negli Stati Uniti d’Europa tutto il ragionamento – superficiale – condotto fin qui troverebbe la cornice per farci amare una Patria più grande, che comprende anche la piccola. Charlie Hebdo ci punta l’indice, anzi la punta di una matita, per rimproverarci del nostro generalizzato deficit di civismo.
Il Presidente Napolitano ci lascia un esempio di dedizione alla causa della buona politica. La sua successione chiama in causa una necessaria unità: perciò il voto che il Parlamento italiano esprimerà sarebbe bello prolungasse il clima di operosa attenzione a ciò che unisce. La mitezza dei comportamenti, la passione politica, il rigore personale sono le virtù necessarie a chi rappresenta l’unità nazionale e deve porsi come esempio autorevole per tutti cittadini.
di Maria Pia Garavaglia