Categorie: Ethica et Oeconomia

Eutanasia: il caso svizzero del ‘suicidio a causa della vecchiaia’

Imboccata la strada dell’autodeterminazione assoluta, si può arrivare ovunque. Anche a battersi per il suicidio assistito degli anziani stanchi di vivere. Purtroppo succede veramente e non molto lontano da noi, nella vicina Svizzera, dove l’associazione Exit – che, con circa 70.000 associati, è fra le più grandi organizzazioni mondiali per l’eutanasia – riunitasi in Assemblea Generale ha votato per l’introduzione, nel proprio statuto, del «suicidio a causa della vecchiaia», assumendosi così l’impegno di dare battaglia anche su questo versante. Non è ancora noto in quale modo – hanno fatto sapere i vertici di Exit in un comunicato diramato nei giorni scorsi – ma probabilmente verranno organizzate conferenze e tavole rotonde con le quali verranno richieste, esercitando una convinta azione di «lobbying» (viene usata proprio questa parola), modifiche legislative che consentano quest’ulteriore passo in avanti in un Paese dove, com’è noto, la pratica eutanasica è disponibile sin dal lontano 1942. Anche se questo, contrariamente a quanti si potrebbe pensare, non sempre fa rima con effettiva tutela dell’autodeterminazione. Anzi. Infatti, dei decessi di malati terminali – dice uno studio che ha preso in esame, fra gli altri, il caso della Svizzera – in ben sette casi su dieci la morte è preceduta da decisioni rilevanti da parte dei medici e non dei pazienti (Lancet 2003;Vol.362(9381):345-50)

. Non meno inquietante è lo scenario sul suicidio assistito, anch’esso previsto dalla legislazione elvetica, che (per ora) riguarda una maggioranza di persone malate di cancro, ma cui già ricorre una vasta percentuale, pari al 25% del totale, di soggetti “stanchi di vivere”, motivo – hanno scritto gli autori di uno studio – «sempre più comune per le persone che scelgono il suicidio assistito» (Inter J of Epidemiology 2014; 1–9).

Ed ora, non sazi di quanto già ottenuto, gli associati di Exit si preparano a dare battaglia pure per il «suicidio a causa della vecchiaia». Un’assurdità? Sì, anzi no, nient’affatto. Benché possa apparire estrema, la battaglia che Exit si propone di perseguire è infatti perfettamente coerente con un’impostazione culturale che assolutizza l’autodeterminazione individuale. In Italia, per non turbare l’opinione pubblica, si preferisce furbescamente circoscrivere il dibattito del cosiddetto “fine vita”

a casi di malattia avanzata o disabilità gravissima, come quella che interessava Eluana Englaro (1970-2009). Da noi nessuno oggi si sognerebbe non di battersi ma neppure di parlare del «suicidio a causa della vecchiaia» che vogliono introdurre in Svizzera, o dell’eutanasia per i minori malati in fase terminale disponibile in Belgio, a patto – almeno così affermano le regole approvate – che sia richiesta da loro stessi ed a condizione che uno psicologo abbia certificato la “capacità di giudizio” del minorenne richiedente. Giammai. In Italia quelle vecchie volpi dei radicali e dei loro sodali si ostinano a chiedere la libertà di morire vaneggiando di migliaia di casi di accanimento terapeutico. Ma è dove ora potrebbe andare la Svizzera che vogliono portarci. Mirano a colpirci, anzi a stordirci a suon di “casi limite” parlando di malati che muoiono tra atroci sofferenze, prigionieri del loro corpo e degli ospedali dove vengono ospitati. Non ci raccontano però né della Svizzera, né del Belgio e neppure dei Paesi Bassi, dove le persone che scelgono l’eutanasia aumentano di anno in anno in modo esponenziale: dai 1923 casi del 2006 ai 3695 del 2011 ai 4188 del 2012, con un’impennata del 13% in un solo anno (Regionale toetsingscommissies eutanasie, Jaarverslag 2012;1-80:5). Delle derive assurde cui si arriva introducendo la “dolce morte” e le sue varianti, insomma, in Italia nessuno parla né vuole farlo. Per questo è bene rimediare, rompere il muro del silenzio e raccontarle, certe storie. Perché è giusto che la gente sappia. Così da non berseli più, certi imbrogli. Così che quando in televisione o in radio si ascolterà l’ennesimo finto dibattito – con uno che si batte per il “diritto a morire” e l’altro ospite che argomenta in modo debole e approssimativo – si capirà al volo che è tutta una messinscena, o quasi. Così che se, augurandoci ovviamente non accada mai, un giorno anche in Italia arrivassero l’eutanasia, che già di suo è un crimine (non a caso il Codice penale parla di «omicidio del consenziente»), e le sue derive, nessuno possa dire che non sapeva. di Giuliano Guzzo

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