La pratica dell’eterologa – che sia multipla o meno poco importa – disegna poi uno strano rapporto adulterino consenziente tra donna, compagno della donna e “donatore”. Infatti sulla scacchierà della provetta folle si muovono tre pedine: una lei che attende di essere inseminata, un lui che “offre” il suo seme ed ha il volto coperto da un punto interrogativo, e un terzo lui il quale non è il padre biologico ma solo putativo e presenzia come spettatore pagante (la Fivet costa assai) a questo triangolo procreativo. Ci si perdoni l’espressione ma pare di assistere ad una cornificazione artificiale pur priva di piacere venereo. D’altronde la scappatella per sua natura è sempre stata eterologa, dato che c’è il terzo incomodo. In merito poi all’anonimato la situazione di chi è madre di un figlio avuto con l’eterologa può essere accostata – con i dovuti distinguo – a quella di una donna che rimane incinta ma non sa chi sia il padre. Un anonimato che in quest’ultimo caso nasce da libertinaggio sessuale, nel caso dell’eterologa da libertinaggio procreativo. Il problema dell’anonimato inoltre investe non solo la figura del padre ma anche tutti i fratellastri nati dallo stesso genitore. A parte infatti i rari casi come quelli appena citati dove le madri o i figli si mobilitano per conoscere l’identità del padre, in genere l’anonimato è la regola tra gli stessi fratelli di sangue creando così una sorta di fratellanza occulta e clandestina. Avere poi un figlio da un uomo diverso da quello con cui si condivide la vita non è cosa semplice da mandar giù. Il padre putativo – e gli studi di psicologia ci confortano in questa affermazione – guarderà sempre con un invincibile sospetto quel figlio che sa non essere suo. Nell’adozione entrambi i genitori adottanti sono coscienti che l’adottato non è figlio biologico di nessuno dei due. E così tra i due si instaura un rapporto paritario. La fecondazione artificiale invece lascia come fastidioso retrogusto nel cuore e nella mente del maschio della coppia la consapevolezza che il figlio appartiene più alla moglie/fidanzata/compagna che a lui.
A parti invertite la musica non cambia. Il figlio diventato adulto e reso edotto sui suoi natali da laboratorio riserverà al padre putativo uno sguardo diverso da quello che rivolgerà a sua madre. Senza contare il fatto che sempre per il figlio una cosa è sapersi abbandonato ma accolto da due nuovi genitori e un’altra essere consapevoli che questi stessi genitori sono stati gli ideatori di tale abbandono. Infine la procedura dell’eterologa porta ad un reificazione non solo del nascituro ma soprattutto dello stesso donatore. Infatti costui volontariamente si trasforma in fabbrica di spermatozoi, usa se stesso come distributore a pagamento di gameti maschili. Si tratta dunque di percepire la propria persona come macchina di carne, come pura materia organica che produce altra materia organica. La pratica dell’eterologa perciò concilia – a nostro dire infelicemente – materialismo di stampo progressista e consumismo libertario.
Un ultimo appunto. Curioso che queste vicende incredibili in genere fioriscano in paesi democraticissimi e soprattutto negli States. Non solo perché Burkina Faso ed Eritrea hanno altro a cui pensare che preoccuparsi dell’eterologa ma perché da loro e per loro fortuna Rousseau è un perfetto sconosciuto. Per lui infatti i desideri legittimi dell’uomo non devono conoscere ostacoli, sono infiniti. In particolare Rousseau considerava lo Stato come un’industria dei desideri, cioè quell’apparato destinato a colpi di maggioranza a soddisfare le aspirazioni di ognuno (sempre che i più fossero concordi). Non è dunque un caso che tali derive bioetiche si possano soprattutto registrare nei paesi considerati nell’immaginario collettivo come fortemente democratici, perché lì tutto è concesso. Anche avere 150 figli in provetta. di Tommaso Scandroglio
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