A Medjugorje è avvenuta una conversione vera e profonda per Federico Rizzi
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«Mi chiudevo in bagno e piangevo. Lasciare il calcio per me è stato il “rinnegare se stessi”, di cui parla il Vangelo». Nel 2014, quando ha appeso gli scarpini al chiodo, Federico Rizzi aveva 33 anni, il numero 23 della Salernitana ben cucito sulle spalle, e altri anni di carriera come calciatore affermato davanti a sé. «Ma quando il cuore ti porta lontano da ciò che dice la testa, allora è tempo di scegliere in maniera matura. Non decidono gli altri per te, scegli proprio tu, anche se non tutti riescono a capire perché smetti di giocare quando sei ancora in forma e diverse squadre ti cercano».
A un certo momento, però, la vita prende una piega inaspettata. «Nel 2011 Claudia, la mia futura moglie, si laureò in Giurisprudenza. Avevo prenotato per lei un bell’orologio costoso ma mi chiese di non farle nessun regalo quanto di accompagnarla a Medjugorje. A essere sincero avrei preferito andare al mare, ma la accontentai. Lo feci solo per lei. Per intenderci, durante il viaggio in pullman gli altri recitavano il Rosario mentre io ascoltavo la musica».
Quell’anno ricorreva il 30° anniversario delle apparizioni. «Arrivati al santuario, Claudia entrò a pregare e io mi misi fuori a bere una birra. C’erano 40 gradi, dopo un’ora entrai in chiesa per chiederle se non fosse ora di rientrare in albergo». La proposta della futura moglie fu spiazzante, ricorda Federico: «Mi disse: “Dopo tutto questo viaggio non preghi neanche un po’?”. Così, con quel senso di superiorità che accompagna chi ha successo e fortuna nella vita, mi sono rivolto a Dio sfrontatamente: “Fammi vedere se esisti”
, la mia richiesta».Il giorno dopo, il 24 giugno 2011 ricorda precisamente Federico, Claudia insistette anche perché si confessasse. «Erano passati 15 anni dall’ultima volta, ma feci come mi aveva suggerito. Poi partecipammo alla Messa e al momento dell’Eucaristia vidi una ragazza di 24 anni posseduta, tenuta ferma dai genitori. Nell’andare verso l’altare mi inginocchiai davanti a lei e iniziai a farfugliare un’Ave Maria, per quello che mi ricordavo. Lei cadde al mio fianco. Piangevo come un bambino, tra l’altro nella confusione generale io e Claudia ci eravamo persi di vista. La ritrovai solo dopo mezz’ora e fu lei stessa a ricordarmi: “Hai chiesto una prova al Signore…”. In quel momento capii che il male esiste ma con la preghiera si può vincere».
Da Medjugorje Federico non torna “esaltato” ma pieno di domande. «Cominciai un percorso di fede con mia moglie, accompagnati da alcuni sacerdoti. Giocai ancora altri tre anni ma ormai per me il calcio era come morto, la piramide dei valori si era ribaltata: non mi interessava più avere la macchina bella, uscire a cena o leggere i commenti sulla Gazzetta dello Sport… Iniziai a chiedere ai dirigenti che per le trasferte cercassero hotel vicini alle chiese in cui poter andare a Messa».
(Fonte famigliacristiana.it – Laura Bellomi)
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