L’omelia integrale:
È con grande gioia e riconoscenza al Signore che celebriamo quest’Eucaristia nell’anno in cui ricorre il bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco. La scorsa settimana abbiamo vissuto in città, con la commemorazione al Teatro Regio, un momento particolarmente toccante e ricco di messaggi significativi e concreti da accogliere e attuare nella nostra Chiesa e nella società, per seguire l’esempio e la testimonianza di amore e di impegno educativo che Don Bosco ci ha insegnato, mettendo i giovani al centro della sua opera di evangelizzatore, amico, padre e maestro della gioventù. Don Bosco è vissuto e ha testimoniato in modo mirabile e fecondo l’amore di Dio e la devozione a Maria Ausiliatrice nel suo affetto e predilezione per i giovani e ha dato vita a quella famiglia salesiana che si è diffusa in tutto il mondo, portando il suo messaggio di fede e di speranza nel cuore dei popoli attraverso l’azione religiosa, educativa, culturale e sociale dei suoi figli e figlie.
L’insegnamento e la testimonianza di San Giovanni Bosco sono ancora vivi e forti nelle nostre comunità e rappresentano un punto di riferimento necessario per affrontare con coraggio e impegno unitario queste sfide, che del resto sono molto simili a quelle affrontate dal santo, pur in tempi diversi.
Penso in particolare al grave problema dell’educazione e formazione delle nuove generazioni, che investe tutti e in modo speciale le famiglie, la scuola, il lavoro e la cultura, la Chiesa e l’intera società. Il metodo preventivo di Don Bosco rappresenta ancora oggi un obiettivo decisivo per i nostri oratori e comunità, ma anche per l’intera azione familiare, pastorale e culturale rivolta ai ragazzi e ai giovani. A questo si aggiunge quanto Don Bosco ci insegna sulla necessità di collegare la formazione al lavoro e alla professionalità, per assicurare un futuro sicuro e ricco di prospettive positive al cammino di crescita dei giovani, rendendoli protagonisti e attivi per edificare un mondo nuovo.
Don Bosco sprona e incoraggia i giovani a puntare in alto perché i loro sogni e le loro speranze si avverino anche grazie al loro impegno e interesse, che mostrano ogni volta che vengono presi sul serio e valorizzati dal mondo adulto, anziché essere adulati catturandone il consenso con accattivanti messaggi che li illudono di poter esercitare la libertà al di fuori dello sforzo di conquistarsela con il sacrificio e anche con la rinuncia alla via facile e comoda del disimpegno irresponsabile che rende dipendenti e non liberi, schiavi di costumi di vita che si vorrebbero offrire loro per tenerli buoni e accomodanti rispetto a chi tira le fila del potere politico, economico e sociale. Guai a parlare con loro di soli diritti senza aggiungere anche i doveri che ne conseguono, a puntare al benessere individuale a scapito del bene comune, a proporre scorciatoie per la felicità a buon mercato, dimenticando che solo nel dono di sé e nell’assunzione di responsabilità verso se stessi e gli altri c’è la via della vera gioia che dà senso alla vita e al suo futuro.
In questo decennio dedicato all’educazione a una vita buona del Vangelo, ci è chiesto un supplemento di impegno per testimoniare a tutti l’attualità e luminosità del patrimonio educativo e di servizio alla piena promozione anche sociale dei giovani, che Don Bosco e i salesiani nel mondo hanno sempre offerto e continuano ad offrire alla Chiesa e alla società. Lo dobbiamo fare con grande professionalità pedagogica e ministeriale, con umiltà e semplicità ma anche con vigore intellettuale, morale e pastorale da parte del mondo adulto.
Don Bosco non parla infatti solo ai giovani, ma anche agli educatori: è modello, maestro e guida per ogni adulto che voglia impegnarsi ad essere un buon genitore, docente, animatore, sacerdote e leader di un gruppo, di un’associazione o comunità religiosa o civile. Ecco perché la figura e l’opera di Don Bosco sono quanto mai attuali per risvegliare in tutti noi adulti quel senso di responsabilità che ci è chiesto per essere coerenti testimoni di valori etici, spirituali e civili da trasmettere mediante la via di relazioni sincere e dialoghi aperti al confronto tra le generazioni, favorendo così il superamento di quel gap che spesso si crea e impedisce di ascoltarsi, capirsi e stabilire rapporti sereni e costruttivi in famiglia come nella società.
La Chiesa di Torino, che custodisce la viva memoria del Santo dei giovani e di tanti altri suoi successori, che ne hanno seguito le orme sulla stessa via di santità e di generosità, rinnova oggi il suo più vivo grazie e sa che potrà contare sulla sua potente intercessione per una stagione nuova di rilancio della catechesi, della formazione professionale, della pastorale giovanile e vocazionale. Mi auguro e chiedo per questo che il nostro orgoglio di annoverare tra i nostri figli Don Bosco possa rappresentare nella nostra città e diocesi un modello di speranza e di ripresa vigorosa della educazione alla fede di tutti, giovani e adulti, famiglie e comunità. Una fede matura e pensata, accolta e vissuta, testimoniata e promossa in ogni ambiente di vita e di lavoro.
Questo impegno non è però solo della comunità cristiana, ma – come ci ricorda l’azione di Don Bosco – investe anche la società tutta, le autorità pubbliche e le istituzioni in particolare, perché diano segnali concreti di credere nell’educazione e dunque di operare perché siano salvaguardati e promossi i valori spirituali, etici e civili della nostra tradizione e realtà. San Giovanni Bosco spronava i giovani a non accontentarsi della mediocrità. Purtroppo, sempre più spesso constatiamo che tanti adulti che hanno precise responsabilità nella società, invece di spronare a seguire vie di serietà, di onestà, di impegno nel promuovere la via del bene, incitano al disimpegno o danno esempio di scelte irresponsabili, mostrandosi cattivi maestri e pessimi educatori.
Oggi diventa ancora più urgente che puntiamo e sollecitiamo i giovani a darci il loro apporto indispensabile al progresso anche sociale del nostro Paese; ma è necessario che le risorse sia pubbliche che del privato sociale per le opere educative verso le nuove generazioni, il sostegno alle famiglie monoreddito e in particolare quelle in difficoltà di lavoro sia a riguardo dei propri figli, sia di altri membri adulti, le scuole statali e paritarie e quelle di formazione professionale, le strutture di accoglienza per universitari, gli oratori e i centri giovanili delle parrocchie e dei quartieri, siano considerati investimenti produttivi per l’intera comunità civile.
Tra questi problemi sociali, quello che fa più soffrire oggi e scardina la speranza nel cuore dei giovani è la mancanza di lavoro, perché, malgrado la loro voglia di non arrendersi e di cercare un’occupazione, spesso si trovano soli e impotenti a trovarla, per cui molti vi rinunciano e altri professionalmente preparati, emigrano all’estero, depauperando un patrimonio di grande valore per il nostro Paese.
Mi faccio perciò voce di tanti giovani che mi interpellano su questo e chiedo alle istituzioni locali e alle forze produttive del nostro territorio, nei diversi ambiti del mondo del lavoro, del credito e della finanza, di stringere un patto intergenerazionale con scelte concrete realizzabili subito, per offrire sbocchi di lavoro ai giovani e in particolare a quelli che, delusi e sfiduciati, non studiano più e nemmeno più cercano un lavoro, anche se provvisorio. Occorre che ciascuno faccia la sua parte investendo su progetti mirati che coinvolgano le imprese, il terziario, i servizi pubblici, la cooperazione, il mondo artigianale e agricolo. Non possiamo permetterci di perdere intere generazioni che sempre più numerose emigrano all’estero e continuare a lamentarci o attendere che il Governo centrale si muova più decisamente su questo ambito.
Qui, nel nostro territorio, occorre dare segnali di un’inversione di tendenza che offra ai nostri giovani la certezza di non essere comunque abbandonati, in un campo così decisivo del loro – ma anche nostro – futuro. Per questo, plaudo e incoraggio, da parte del mondo produttivo, l’accoglienza dell’iniziativa proposta, per onorare degnamente i 200 anni della nascita del Santo, di assumere 200 giovani nell’arco dei prossimi mesi. Si tratta di un’iniziativa concreta che serve da esempio e traino – mi auguro – per tante altre che potranno aggiungersi da parte delle istituzioni pubbliche e delle varie componenti del mondo del lavoro.
Cari giovani amici, l’insegnamento di Don Bosco vi sproni a credere in voi stessi, puntando a traguardi non mediocri, anche se accattivanti, propri dei messaggi dominanti oggi nella cultura e nei mass-media. Voi siete stati creati per ideali grandi a cui il vostro cuore anela e che sono alla vostra portata, se credete che ciò sia possibile. Don Bosco vi invita inoltre a non chiudervi nelle vostre realtà giovanili, seppur ricche di esperienze di relazioni tra voi improntate all’incontro, allo stare insieme e anche all’animazione dei più piccoli o al volontariato. Tutte cose ottime e importanti, ma resta la grande sfida di uscire fuori e diventare propositivi della vostra fede e amicizia a tanti coetanei che vivono ai margini delle nostre comunità e che voi incontrate nell’università, nei luoghi del tempo libero e del divertimento, nel mondo dello sport o del lavoro, sulla strada… Lì è necessario non essere o sentirsi isolati, per cui occorre fare alleanze con altri giovani credenti o non, per portare una testimonianza fattiva di valori positivi ma anche alternativi e dunque per saper andare anche controcorrente. San Giovanni Bosco, che ha amato questa città e questa diocesi, ci protegga e ci sorregga in quest’impresa che sta davanti a noi e non ci faccia mai venire meno il coraggio di credere in un possibile e realizzabile futuro di rinnovamento e di speranza, con l’apporto dei nostri giovani e di ogni comunità educante ricca di testimoni del Vangelo.
Di Alessandro Ginotta
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