Fiaccole e bambole: il dono per Katia uccisa dal suo papà a Licola

Giugliano. Hanno acceso le candele. Si sono incamminati verso il mare. Un lento, mesto corteo verso la casetta della strage sulla spiaggia di Licola. Era ormai buio e una donna sui 40 anni, il viso rigato dalle lacrime, si è inginocchiata sulla sabbia e ha cominciato a pregare in ucraino.
Tutti gli altri hanno seguito il suo esempio poggiando a terra i doni per Katia, la bimba sordomuta di quattro anni uccisa a coltellate dal papà, in una notte di follia dopo una misteriosa lite con la mamma, Marina, trentatreenne, anche lei finita a colpi d’ascia. Volodymir Havrylyuk, 44 anni, il papà assassino, tormentato dal rimorso e dall’angoscia, s’era poi procurato ferite mortali, un profondo taglio alla gola che lo ha portato poi alla morte sabato pomeriggio nell’ospedale di Pozzuoli.

Una strage terribile, che ha scosso e commosso la comunità ucraina che vive nella zona: quasi tutti conoscevano Volodymir e sua moglie, lo avevano visto negli incontri organizzati periodicamente, presenti la moglie e la bambina. Per questo ieri pomeriggio sono arrivati in tanti con le auto in via Licola Mare. Hanno parcheggiato. Poi, insieme con il fratello di Marina e la moglie, hanno raggiunto la casetta sulla spiaggia per portare simbolici doni alla piccola Katia che non c’è più: bambole e colori, pupazzi e fogli con messaggi, «Riposa in pace dolce angelo biondo». Pensieri anche per Marina, la mamma: «Abbracciatevi per l’eternità».

Parole di pietà per il giardiniere ucraino vittima della sua stessa follia. La donna che guida il corteo intona una canzoncina, una dolcissima ninna nanna. La gente del rione guarda dal balcone, si commuove. Poi, il corteo si scioglie, sulla sabbia restano i ceri accesi, sulla casetta i fiori e i giocattoli appesi. C’è ora l’inchiesta che dovrà cercare di fare luce sulla notte di sangue e orrore nella casetta sul mare di Licola. Gli inquirenti, i carabinieri della compagnia di Giugliano, propendono per un raptus scaturito da una lite per motivi banali, forse anche una gelosia improvvisa. Marina si arrangiava con piccoli lavori nelle case. Volodymir Havrylyuk era giardiniere in un vivaio di Cuma.




Sabato mattina è stato l’imprenditore a dare l’allarme: aveva bussato alla porta dell’operaio che non si era presentato al lavoro, lui ha aperto la porta insanguinato e una profonda ferita alla gola: «Ho fatto un grande guaio». L’imprenditore ha guardato oltre e si è accorto della strage. È scattato l’allarme. I carabinieri hanno trovato i due corpi martoriati. Difficile ricostruire l’intera dinamica. L’autopsia potrà dare delle indicazioni. Appare certo che Volodimyr ha vegliato a lungo i corpi, ferito, seduto su una poltrona in attesa che sopraggiungesse la morte, arrivata però dopo molte ore in ospedale. I vicini parlano di famiglia tranquilla, di qualche lite di tanto in tanto. E anche nella notte della tragedia nulla di strano è stato visto e sentito. Circostanza che complica la ricostruzione della terribile sequenza di morte. Intanto, non solo la comunità ucraina ma l’intero rione di Licola Mare è sotto choc. È un quartiere difficile, nel vortice dell’abbandono e del degrado, dell’inquinamento da rifiuti. Qui vivono ucraini, romeni, africani, migranti arrivati a Lampedusa con i barconi e accolti in alberghi risistemati per l’occasione. Mille volti e mille storie, religioni, fedi, lingue e culture, diverse.

«Questo è il terzo mondo – commenta Mimmo, che a Licola si è trasferito una ventina di anni fa –. Qui c’è solo degrado e abbandono, ormai siamo terra di nessuno, di cui si parla solo quando succede qualche disgrazia». Palazzi fatiscenti, cumuli di spazzatura, vecchie case del mare che ricordano anni di glorie turistiche lontane e dentro, stipate, decine di famiglie. «Trasferirmi qui è stato il più grande errore della mia vita – racconta Mimmo – venti anni fa la zona era ancora vivibile, ma ora non si capisce più nulla. Molti sono gli italiani che hanno venduto la casa per pochi spiccioli e altri affittano camere. A volte si tratta di vecchi tuguri in cui vengono ammassate persone, in questo modo capita spesso che non sappiamo neanche chi sono i nostri vicini e per paura cerchiamo di evitare ogni sorta di contatto».

In via Licola Mare di italiani non ne sono rimasti tanti, ma capita di vedere ragazzi in età di studio o di lavoro che non trovano alternativa che trascorrere le giornate al bar. Tanti e troppi bambini giocano tra rifiuti e scheletri di vecchi lidi abbandonati. Così in una strada, a pochi passi dal mare, al confine tra i comuni di Pozzuoli e Giugliano, vivono anime sole, diverse e troppo distanti le une dalle altre. Tanto che nessuno si è accorto del malessere che minava quella – in apparenza – tranquilla famiglia ucraina.



Redazione Papaboys (Fonte www.ilmattino.it)

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