La vigilia di Natale ti arriva in casa l’ultimo caso di sessualità precoce e proprio non avresti voglia di conoscerlo. In Bosnia, erano partite in 28 per la gita scolastica e quando sono rientrate, in sette, tra i 13 e i 15 anni, erano rimaste incinte durante la permanenza fuori casa. Una notizia così spinge a tirare la giacchetta dell’adolescenza un po’ da tutte le parti. Più informazione sessuale. Meno informazione sessuale. Più formazione umana. Più espliciti nell’educazione sessuale. Meno espliciti. Più famiglia. Meno scuola. Meno famiglia più scuola. Scuole separate maschi e femmine. Meno contraccezione più educazione. Più contraccezione meno chiacchiere. Più libertà. Meno libertà. Più responsabilità. Troppa responsabilità. Più controllo. Meno controllo.
Forse perché siamo a Natale, non voglio sbatacchiare anch’io queste ragazzine che stanno per diventare madri. Voglio fare un commento che invece di guardare la notizia e andare avanti, torna indietro. Voglio ricordarmi di una storia. È tempo di Natale, e una storia vera ci sta bene. Parla di un bambino e di un dolce speciale che la nonna preparava solo a Natale. Arriva Natale e arriva il dolce della nonna. Il bambino mangia la sua torta attesa tutto l’anno e all’improvviso si ferma che è quasi finita e scoppia a piangere. La nonna chiede: perché piangi? Piango perché ero distratto mentre la mangiavo: ora è finita e devo aspettare un altro anno. Ecco io voglio parlare di questo divorarsi. Di questo abbassare la testa nel piatto del corpo e mandar giù quello che andrebbe gustato. Voglio parlare con quelle ragazzine la sera prima di salire sul pulmann ma non voglio dir loro quando è bene fare sesso, né voglio dire con chi ne debbano parlare, se col genitore, la scuola, o il ginecologo. Vorrei parlare di cosa vuol dire fare sesso a 13 anni, seconda media, le elementari finite l’altro ieri che fino all’anno prima i tuoi genitori non ti mollavano se non eri cancello di scuola. Ora, circa 500 giorni circa dopo, sei sessualmente attiva, fai l’amore e ti abbuffi, faccia nel piatto. Erano tutti pronti ad aiutarti, ad accompagnarti, ad amarti e custodirti fino a che non fossi pronta per fare da sola, perché il profumo dell’amore, la bellezza dell’attesa, l’abbondanza di un corpo ancora acerbo, non ti ha fermata e non ti ha reso capace di maturare e di non divorare?
Se parli con una donna che ha avuto una sessualità precoce, una donna che ora sa di essere donna e sa amare e sa vivere, quella donna ti dice che ricorda tutto. Non tutti i nomi, non tutte le volte, non tutti i quando, i come e i dove, ma ricorda tutto. Perché i ricordi non sono solo nella scatola della memoria ma sono anche dei segni che il corpo ha addosso e che ti diranno sempre che c’è qualcuno che è passato, ma che passando è rimasto. “Educazione sessuale” è un’espressione che può ingannare. Va bene se è chiaro che la sessualità è qualcosa da educare come quando educhi tuo figlio appena nato a rispondere al nome che gli hai dato. Non serve mettere dei cartelli nella sua stanza o dargli dei documenti, non sa leggere. Serve che il nome del bimbo sia inserito in un contesto di amore. Serve “ciao Giovanni amore mio”, mentre te lo attacchi al seno. A quel punto, se proprio ne hai bisogno, puoi anche cercare l’esperto, ma tante volte non servirà, non sarà necessario, perché io sono il mio corpo e se qualcuno ama me, ama anche quel corpo che sono io. La torta della nonna poche righe sopra era buona, ma non solo. Era buona perché era della nonna. L’educazione sessuale è una storia d’amore perché è sempre una questione di amore. Perché nella vita il discorso più efficace sull’importanza di custodire sé stessi, non è un discorso. È amarsi. Qual è il contraccettivo che non fallisce mai? Non è un contraccettivo. È la parola “no, non ancora, non ora” che puoi dire in gita, alla festa, fuori della discoteca, dentro la tua cameretta quando i genitori non sono in casa, perché hai detto e ti è stato detto mille altre volte la parola “sì” a tante altre cose, a quelle della nostra vita buona, piena di scelte libere, di legami di qualità che ci fanno essere quelli che siamo. Forse a quelle ragazzine non è stata di troppo la gita ma di troppo poco la vita prima della gita.
Di Don Mauro Leonardi
Articolo tratto da ilsussidiario.net