Forse perché siamo a Natale, non voglio sbatacchiare anch’io queste ragazzine che stanno per diventare madri. Voglio fare un commento che invece di guardare la notizia e andare avanti, torna indietro. Voglio ricordarmi di una storia. È tempo di Natale, e una storia vera ci sta bene. Parla di un bambino e di un dolce speciale che la nonna preparava solo a Natale. Arriva Natale e arriva il dolce della nonna. Il bambino mangia la sua torta attesa tutto l’anno e all’improvviso si ferma che è quasi finita e scoppia a piangere. La nonna chiede: perché piangi? Piango perché ero distratto mentre la mangiavo: ora è finita e devo aspettare un altro anno. Ecco io voglio parlare di questo divorarsi. Di questo abbassare la testa nel piatto del corpo e mandar giù quello che andrebbe gustato. Voglio parlare con quelle ragazzine la sera prima di salire sul pulmann ma non voglio dir loro quando è bene fare sesso, né voglio dire con chi ne debbano parlare, se col genitore, la scuola, o il ginecologo. Vorrei parlare di cosa vuol dire fare sesso a 13 anni, seconda media, le elementari finite l’altro ieri che fino all’anno prima i tuoi genitori non ti mollavano se non eri cancello di scuola. Ora, circa 500 giorni circa dopo, sei sessualmente attiva, fai l’amore e ti abbuffi, faccia nel piatto. Erano tutti pronti ad aiutarti, ad accompagnarti, ad amarti e custodirti fino a che non fossi pronta per fare da sola, perché il profumo dell’amore, la bellezza dell’attesa, l’abbondanza di un corpo ancora acerbo, non ti ha fermata e non ti ha reso capace di maturare e di non divorare?
Se parli con una donna che ha avuto una sessualità precoce, una donna che ora sa di essere donna e sa amare e sa vivere, quella donna ti dice che ricorda tutto. Non tutti i nomi, non tutte le volte, non tutti i quando, i come e i dove, ma ricorda tutto. Perché i ricordi non sono solo nella scatola della memoria ma sono anche dei segni che il corpo ha addosso e che ti diranno sempre che c’è qualcuno che è passato, ma che passando è rimasto. “Educazione sessuale” è un’espressione che può ingannare. Va bene se è chiaro che la sessualità è qualcosa da educare come quando educhi tuo figlio appena nato a rispondere al nome che gli hai dato. Non serve mettere dei cartelli nella sua stanza o dargli dei documenti, non sa leggere. Serve che il nome del bimbo sia inserito in un contesto di amore. Serve “ciao Giovanni amore mio”, mentre te lo attacchi al seno. A quel punto, se proprio ne hai bisogno, puoi anche cercare l’esperto, ma tante volte non servirà, non sarà necessario, perché io sono il mio corpo e se qualcuno ama me, ama anche quel corpo che sono io. La torta della nonna poche righe sopra era buona, ma non solo. Era buona perché era della nonna. L’educazione sessuale è una storia d’amore perché è sempre una questione di amore. Perché nella vita il discorso più efficace sull’importanza di custodire sé stessi, non è un discorso. È amarsi. Qual è il contraccettivo che non fallisce mai? Non è un contraccettivo. È la parola “no, non ancora, non ora” che puoi dire in gita, alla festa, fuori della discoteca, dentro la tua cameretta quando i genitori non sono in casa, perché hai detto e ti è stato detto mille altre volte la parola “sì” a tante altre cose, a quelle della nostra vita buona, piena di scelte libere, di legami di qualità che ci fanno essere quelli che siamo. Forse a quelle ragazzine non è stata di troppo la gita ma di troppo poco la vita prima della gita.
Di Don Mauro Leonardi
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