Un film sovversivo almeno per tre ragioni: la prima è che la storia racconta di un ragazzo che ha dovuto assumersi il carico di riaffermare la propria eterosessualità, in una società e in una famiglia che aveva decretato la sua omosessualità. Sono più o meno queste le parole che il protagonista, interprete contemporaneamente di sé stesso e di sua madre, pronuncia in una delle scene finali del film (ma tradotte diversamente nel libro edito da Frassinelli). E’ una storia in cui, con le dovute eccezioni, tutti i ragazzi che sono stati “bambini diversi”
si possono riconoscere: il bullismo, la negazione per lo sport, in particolare per il calcio, i travestimenti femminili, la confidenza con la madre e il desiderio di non tradirla, la distanza emotiva dal padre, la debolezza per il proprio migliore amico. Non manca una descrizione piuttosto cruda di un certo modo di “fare conoscenza” nel mondo omosessuale. Film sovversivo perché comico. Guillaume Gallienne non è un pivello. E’ membro della Comédie Française e uno degli attori francesi più amati. L’attore racconta la sua epopea con autoironia ed umorismo, impossibile trattenere le risate. Anche nei momenti più drammatici, Guillaume (oltretutto regista e sceneggiatore del film) porta fino alla commozione, ma subito ne smorza la tensione, con uno scherzo, un’irriverenza, una gag. La vera rivoluzione del film però, sta nel “non detto”, così evidente da non passare inosservato. La testimonianza di una vita è così schiacciante! Qualunque omosessuale ci si potrebbe riconoscere. Certo conosciamo tante testimonianze di omosessuali che sono diventati etero, ma qui non c’è nessuna professione di fede, nessuna egodistonia, nessun trauma che porta a cercare un’altra identità. E’ soltanto una presa di coscienza, non il rifiuto di una condizione, non il “pentimento di un finocchio”, come lo accusa sua madre, ma l’amore per una donna, Amandine che lo porta ad uscire dalla sua identità fittizia e scoprirsi eterosessuale. E’ interessante anche leggere le interviste fatte all’attore, così come leggere la postfazione del libro. Repubblica ad esempio chiede a Guillaume Gallienne di giustificare il suo innamoramento per Jeremy, il suo migliore amico, durante gli anni del college. Guillaume risponde: “Se anche lui si fosse innamorato di me forse la mia vita sentimentale avrebbe preso un’altra direzione. Invece non lo ha fatto, ed ho incontrato Amandine che oggi è mia moglie e la madre di mio figlio”.Ma io vorrei fare un’altra domanda, che nasce proprio dal “non detto” del film, la vorrei fare a Repubblica, a tutti quelli che lottano per dei presunti diritti della comunità gay ed anche a voi: ma se Guillaume non avesse avuto l’intelligenza e la sensibilità di interrogarsi sulla sua identità, se non avesse incontrato Amandine, se non ci fosse stato un altrettanto intelligente psicanalista (come è scritto nella postfazione al libro, nel film lo si vede appena, ma è uno dei personaggi più intensi.), se non avesse avuto un istruttore di equitazione così paterno, come avrebbe potuto Guillaume scoprire di non essere omosessuale come sua madre, tutta la sua famiglia e la società aveva deciso che lui fosse? Queste le parole di Guillaume nel testo teatrale: “… a me interessa raccontare la storia di un ragazzo che, con la scusa di essere nato in un’epoca in cui i tabù sessuali venivano meno, si ritrova addosso l’etichetta di un certo orientamento sessuale…”. E’ questo il risultato della libertà di cui parla la nostra società così moderna? Mi fermo con le domande, per non diventare polemico andando oltre le intenzioni dell’autore. Termino rivolgendomi a tutti quei ragazzi che come me stanno cercando la loro vera identità: leggete il libro e andate a vedere il film (che non tradisce traducendo, ma moltiplica i significati del testo), morirete dalle risate e piangerete (forse proprio dove altri rideranno), ma soprattutto capirete chi siete davvero! a cura di Giovanni Profeta
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