Il David di Michelangelo, diventato oggi solo un simbolo estetico, fa bella mostra di sé alla Galleria dell’Accademia. Quando fu scolpito era destinato a uno sprone del Duomo. Fu poi dirottato in Piazza della Signoria, all’inizio del Cinquecento, finendo per acquisire una valenza civica. Ma in quel giovane che aveva sconfitto con una fionda il nemico, il suo autore vedeva il Cristo, difensore di ogni popolo, pienezza di ogni eroismo collettivo, meta di ogni positiva aspirazione individuale. Lo stesso Cristo richiamato nel frontespizio sopra il portale principale di Palazzo Vecchio dalla scritta di allora, “Iesus Christus rex florentini populi”, si dice ispirata dal Savonarola, poi sostituita con “Rex Regum et Dominus Dominantium (Re dei Re e Signore dei Signori)”. L’umanesimo rinascimentale, contrariamente a quanto spesso si è detto e soprattutto si è voluto pensare, è proprio quel “crocevia delicato in cui divenne evidente l’intima connessione tra la dipendenza dell’uomo da Dio e la sua capacità creativa, entrambe riflesso di quella somiglianza con Dio di cui parla la Genesi”.
Viene a questo proposito in mente il paradosso dell’amore del Creatore cantato dal salmista: “Che cosa è mai l’uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell’uomo, perché te ne curi? Davvero l’hai fatto poco meno di un dio, di gloria e di onore lo hai coronato”. È il primato assoluto dell’uomo, in tutti i sensi, anche sul piano politico, economico, sociale e in genere morale. Ed è con lo stesso “gusto per l’umano” che ci viene proposta dalla Conferenza episcopale italiana e dal Comitato preparatorio del 5º Convegno ecclesiale nazionale la traccia per l’appuntamento di Firenze del novembre 2015 “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
Siamo invitati all’ascolto del vissuto, ma anche alla concretezza di parlare con la vita, trovando una sintesi dinamica tra verità e vissuto, convinti che l’umanesimo nuovo in Cristo è un umanesimo sfaccettato e ricco di sfumature. Un umanesimo che non nega lo sguardo verso l’Alto, alla Trascendenza.
Siamo chiamati a forme di buona umanità in un contesto sempre più difficile, con una crisi economica che ha appesantito la dinamica culturale e sociale, con un potere politico indebolito, con nuovi scenari internazionali di guerra, con la stessa religione invocata per scavare solchi di odio e di violenza.
Siamo chiamati, con Papa Francesco, ad uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare. Azioni che riconoscono l’urgenza di mettersi attivamente in movimento, che esprimono il desiderio e la volontà di contribuire al dischiudersi dell’umanità nuova dentro la complessità della nostra epoca. Ed è nella cultura che si può ritrovare la strada della liberazione dalle varie forme di schiavitù che soffocano o minacciano la dignità della persona umana.
Firenze non è più la culla dell’umanesimo in cui erano evidenti le radici cristiane. Non è più quella, ma quella è la Firenze che deve accogliere il Convegno ecclesiale nazionale. C’è un anno di tempo e ci sono riferimenti in uomini come Giorgio La Pira o Mario Luzi che nella seconda metà del Novecento hanno favorito un ritorno dell’identità cristiana non solo nella cultura, ma anche nella politica e nella società. di Andrea Fagioli per Agensir
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