Il 26 ottobre, salendo di corsa le scale del municipio di New York, Pete Kostelnick ha battuto uno dei record più longevi e ambiti degli Stati Uniti: quello di attraversata a piedi del Paese, che resisteva da 36 anni.
Al traguardo è arrivato con le guance paonazze, un ginocchio sanguinante e una profonda ferita al palmo della mano sinistra causati da una caduta in New Jersey, durante l’ultima tappa, la più lunga, del suo viaggio: 140 chilometri in un solo giorno. Ad aspettarlo c’era Frank Giannino Jr., il venditore di scarpe dell’Oregon che nel 1980 aveva percorso la distanza fra i municipi di San Francisco e New York in 46 giorni, 8 ore e 36 minuti e che deteneva un primato che ormai sembrava insuperabile.
Decine di rinomati ultramaratoneti ci avevano provato negli ultimi trent’anni, tre soltanto negli ultimi dodici mesi: Lisa Smith-Batchen, fermata da un intervento d’urgenza alla cistifellea, Adam Kimble, che ha mancato il record di oltre una settimana, e Robert Young, ritiratosi con un piede rotto e l’accusa, più dolorosa dell’infortunio, di aver imbrogliato.
Kostelnick, analista finanziario 29enne del Nebraska, ha invece attraversato metropoli trafficate, aridi deserti e sterminate praterie, percorrendo i quasi cinquemila chilometri che separano le due coste in 42 giorni, 6 ore e 30 minuti. Umile e silenzioso, si è allenato per anni alla traversata transamericana e negli ultimi tre mesi è arrivato a correre 50 chilometri al giorno, mentre continuava a lavorare a tempo pieno alla National Research Corporation e al contempo studiava la rotta da affrontare.
«Ho iniziato semplicemente cercando su Google Maps le indicazioni stradali da San Francisco a New York, provando a mantenere la rotta di Giannino e al tempo stesso a evitare le strade più impervie», racconta al Corriere della Sera. «In più volevo passare attraverso le due città dove ho vissuto gran parte della mia vita, in Nebraska e Iowa». I piani dettagliati messi a punto dall’analista finanziario, tuttavia, hanno vacillato già il primo giorno, messi alla prova dal traffico congestionato di San Francisco — che ha bloccato i tre veicoli che lo hanno seguito per tutto il viaggio — e dal suo fisico, che ha impiegato una settimana ad adattarsi alla velocità che si era prefissato per battere il record: 115 chilometri giornalieri. «Ad aiutarmi è stata la mente, anche se nell’ultima settimana, sotto la pioggia battente in Pennsylvania, ero ormai psicologicamente esausto», ammette.
Kostelnick però non si è arreso, costruendo la vittoria su una routine rigida che prevedeva la sveglia alle 3 del mattino, 65 chilometri di corsa dopo la colazione, una pausa pranzo e altri 50 chilometri, prima di una cena, spesso a base di carne rossa, una seduta di massaggi e la notte passata in camper con i quattro membri del suo team. «Ho dovuto spendere molto più di quanto avrei voluto», ammette, «ma avevo diversi sponsor che mi hanno aiutato a realizzare questo sogno».
Ad accompagnarlo non c’era solo la sua squadra. Durante la rincorsa al record, Kostelnick si è trasformato in un moderno Forrest Gump, attirando decine di corridori che lo hanno seguito per qualche minuto o per giornate intere. «Sono stati un’ispirazione», racconta. «Durante il tragitto ci scambiavamo idee sulla corsa e sul perché è una parte così importante delle nostre vite. Io amo le sfide e correre, indipendentemente dalla velocità, me ne pone sempre una nuova davanti, spingendomi a trovare un modo di migliorare».
Fonte www.corriere.it/Andrea Marinelli
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