Categorie: Humanitas et Web

Foto sui social, parte dagli Usa il ‘Baby blackout’

QUESTIONE DI PRIVACY – Cresce il numero dei genitori che decidono di non condividere le foto dei propri figli. Sta crescendo una nuova consapevolezza nei confronti dei minori che, una volta cresciuti, un giorno potrebbero non gradire la diffusione di immagini relative alla propria infanzia. Un dibattito pubblico che segna una svolta su un approccio relazionale spesso troppo superficiale.

I genitori stanno cambiando idea sulle foto dei figli pubblicate su Facebook o sugli altri social network: oggi c’è maggiore prudenza e una cautela mai registrata prima. Il fenomeno è stato prontamente ribattezzato “baby blackout”. Il segnale viene dagli Usa. Un servizio dell’Associated Press ha scatenato il dibattito sui media tradizionali americani e, ovviamente, sugli stessi social e sul web. Il sito “Ctvnews” del gruppo editoriale canadese “Bell Media” è arrivato a pubblicare un tempestivo decalogo dei consigli per i genitori con un suggerimento perentorio: “Non mettete in imbarazzo i vostri figli”. Un sondaggio del 2011 effettuato dall’Università del Michigan Institute for Social Research aveva rivelato che solo il 34% dei genitori della cosiddetta generazione X (nati nei Sessanta e Settanta) aveva deciso di non condividere le foto dei figli sul web. Aisha Sultano, ricercatrice presso il Michigan Institute, pensa che i risultati potrebbero essere diversi se le stesse domande fossero poste oggi. 



Una nuova consapevolezza dei rischi per i bambini. “Allora, ai tempi del primo sondaggio, non c’era tutto questo dibattito sul tema”, ha detto Sultan all’Associated Press. “Quando i genitori hanno cominciato ad entrare in Facebook il rispetto per la privacy dei figli non era la preoccupazione principale. Ora i genitori sono molto più consapevoli del poco controllo che hanno sui loro dati personali on-line”, ha detto. Gli stessi legislatori americani hanno cominciato a prestare attenzione al problema. Una nuova legge della California, per esempio, impone di rimuovere dal web i contenuti che i minori hanno inviato, se richiesto. Il provvedimento entrerà in vigore il prossimo anno. “E’ un buon inizio, ma non credo che possa sostituirsi all’attenzione dei genitori”, ha commentato Sultan. La ricercatrice fa parte di un sindacato nazionale di genitori, è editorialista presso il “St. Louis Post-Dispatch” e ha avuto un’esperienza personale che le ha dato motivo di riflessione. Recentemente, la sorella ha avuto un bambino. Senza pensarci, Sultan ha pubblicato una foto di suo nipote sul proprio account Instagram, che è bloccato e che è accessibile solo ad amici intimi e familiari. “Ho avuto dei guai con mio cognato. ‘Si prega di chiedere prima di farlo’, mi ha scritto”, ha raccontato Sultan.

“Baby blackout”, la nuova consapevolezza per la privacy dei genitori in Usa. Sonia Rao vive a Mountain View, ha un bambino di un anno e dice di sentirsi “un po’ a disagio”. “Non mi piace l’idea che la foto di mio figlio possa essere disponibile per chiunque. Su Facebook gli album fotografici sono pubblici”, ha raccontato. Un numero crescente di genitori come Rao – è scritto nel servizio dell’Associated Press pubblicato a metà agosto – “sono in controtendenza e vogliono mantenere riservate foto e nomi dei figli”. I motivi per il “baby blackout” variano. Alcuni genitori sono preoccupati per la privacy e la sicurezza. Altri invece si preoccupano di ciò che le aziende potrebbero fare con l’immagine e i dati personali del loro bambino. Alcuni semplicemente lo fanno per un sentimento di rispetto dell’autonomia dei propri figli prima che siano abbastanza grandi per prendere decisioni autonome sulla propria immagine. “Non ho una politica di tolleranza”, dice Scott Steinberg, un consulente di business e tecnologia con sede a St. Louis che ha più di 4.800 amici di Facebook. Steinberg dice che non condivide foto, video o qualsiasi informazione su suo figlio. “Se io non voglio che qualche sconosciuto si interessi a mio figlio il sistema più semplice è di non pubblicare niente”.


Le raccomandazioni di Facebook non sono sufficienti, dicono i genitori. Facebook ha una politica sulla privacy abbastanza stretta (incoraggia e raccomanda agli utenti di limitare l’accesso al proprio account) ma non è sufficiente secondo alcuni genitori. Josh Furman e sua moglie, Alisha Klapholz, sono molto attivi sui social network ma sono, contemporaneamente, anche “molto protettivi” nei confronti della loro neonata. La coppia di Silver Spring, nel Maryland, crede che sia interesse della figlia limitare la sua presenza su Internet il più a lungo possibile. “Nel 2014 abbiamo una nuova consapevolezza di come siano del tutto imprevedibili le ripercussioni della condivisione dei dati privati. La nostra bambina non è in grado di prendere decisioni su quali dettagli della sua vita condividere o no”, dice Furman, un dottorando in storia presso l’Università del Maryland. Un motivo per il quale i genitori sono diffidenti, anche se usano i social media, è che le società del web “non sono stati molto trasparenti sul modo in cui raccolgono dati sugli utenti”, ha spiegato Caroline Knorr, redattore del “no-profit Common Sense Media”, che studia l’uso dei bambini nelle nuove tecnologie della comunicazione.

I nuovi consigli per il genitori. Il sito “Ctvnews” del gruppo editoriale canadese “Bell Media”, dopo il servizio dell’Associated Press, è arrivato a pubblicare un tempestivo decalogo dei consigli per i genitori con un suggerimento perentorio: “Non mettete in imbarazzo i vostri figli”. Le foto della faccia del bambino inzaccherata con la minestra potrebbero metterlo a disagio una volta cresciuto, hanno scritto. I redattori di “Ctvnews”, insieme con la guida per utilizzare tutti i “tasti” della privacy previsti dai social network (che troppo spesso sono nascosti o poco accessibili), sono arrivati a consigliare anche l’uso di mezzi molto più tradizionali per condividere con parenti e amici le foto dei figli, come la vecchia posta cartacea. di Rino Farda per Agensir

 

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