A Namugongo il Papa visita il santuario degli anglicani e poi celebra messa nel santuario cattolico dove si ricorda il sacrificio di Carlo Lwanga, il capo dei paggi della corte di Buganda Mwanga II, arso vivo insieme ad altri trenta cristiani per aver detto no ai desideri omosessuali del sovrano
Erano un gruppo di ventidue servitori, paggi e funzionari del re di Buganda – oggi parte dell’Uganda – convertiti al cattolicesimo dai missionari d’Africa del cardinale Charles Lavigerie, i Padri Bianchi. Vennero uccisi in quanto cristiani sotto il regno di Mwanga II tra il 15 novembre 1885 e il 27 gennaio 1887. Benedetto XV li ha dichiarati beati il 6 giugno 1920. Sono stati canonizzati l’8 ottobre 1964 a Roma da Paolo VI che, durante il suo viaggio in Africa del 1969, ha intitolato loro anche il grande santuario di Namugongo, eretto sul luogo del martirio di san Carlo Lwanga, il più celebre del gruppo. Proprio qui, terzo Papa in meno di cinquant’anni dopo Montini e Giovanni Paolo II (1993), Francesco celebra la sua prima messa in Uganda.
Carlo Lwanga era il capo dei paggi della corte del re. Il motivo della sua uccisione fu l’essersi rifiutato di accondiscendere ai desideri omosessuali di Mwanga II. Si era impegnato per proteggere i paggi dalle attenzioni morbose del sovrano. Condannato a morte il 25 maggio 1886, venne arso vivo il 3 giugno sulla collina di Namugongo.
C’è una grande folla variopinta ad accogliere Francesco. Migliaia di persone hanno camminato tutta la notte nel fango per partecipare alla messa che si svolge in un grande anfiteatro. Ad aprire la processione d’ingresso sono due sacerdoti che portano i reliquiari con i resti dei martiri di Namugongo.
Nell’omelia Papa Bergoglio ha ricordato che «dall’età apostolica fino ai nostri giorni, è sorto un grande numero di testimoni a proclamare Gesù e a manifestare la potenza dello Spirito Santo. Oggi, ricordiamo con gratitudine il sacrificio dei martiri ugandesi, la cui testimonianza d’amore per Cristo e la sua Chiesa ha giustamente raggiunto “gli estremi confini della terra”. Ricordiamo anche i martiri anglicani, la cui morte per Cristo dà testimonianza all’ecumenismo del sangue».
«Ogni giorno – ha aggiunto Francesco – siamo chiamati ad approfondire la presenza dello Spirito Santo nella nostra vita, a “ravvivare” il dono del suo amore divino in modo da essere a nostra volta fonte di saggezza e di forza per gli altri. Penso ai santi Joseph Mkasa e Charles Lwanga, che, dopo essere stati istruiti nella fede dagli altri, hanno voluto trasmettere il dono che avevano ricevuto. Essi lo fecero in tempi pericolosi. Non solo la loro vita fu minacciata ma lo fu anche la vita dei ragazzi più giovani affidati alle loro cure. La loro fede divenne testimonianza; oggi, venerati come martiri, il loro esempio continua a ispirare tante persone nel mondo».
Il Papa ha invitato a essere «discepoli missionari» per «le nostre famiglie e i nostri amici certamente, ma anche per coloro che non conosciamo, specialmente per quelli che potrebbero essere poco benevoli e persino ostili nei nostri confronti». E per essere missionari «non abbiamo bisogno di viaggiare» ma «abbiamo soltanto bisogno di aprire gli occhi alle necessità che incontriamo nelle nostre case e nelle nostre comunità locali per renderci conto di quante opportunità ci attendono». «Anche in questo – ha continuato il Papa – i martiri d’Uganda ci indicano la via. La loro fede cercò il bene di tutti, incluso lo stesso re, che li condannò per il loro credo cristiano. La loro risposta intese opporre all’odio l’amore, e in tal modo irradiare lo splendore del Vangelo. Essi non si limitarono a dire al re quello che il Vangelo proibiva, ma mostrarono con la loro vita che cosa realmente significa dire “sì” a Gesù. Significa misericordia e purezza di cuore, essere umili e poveri in spirito e avere sete della giustizia, nella speranza della ricompensa eterna».
«La testimonianza dei martiri mostra a tutti coloro che hanno ascoltato la loro storia, allora e oggi – ha concluso Francesco – che i piaceri mondani e il potere terreno non danno gioia e pace durature. Piuttosto, la fedeltà a Dio, l’onestà e l’integrità della vita e la genuina preoccupazione per il bene degli altri ci portano quella pace che il mondo non può offrire».
Una testimonianza della quale «non ci si appropria con un ricordo di circostanza o conservandola in un museo come fosse un gioiello prezioso», ma la si onora «quando piuttosto portiamo la testimonianza dei martiri a Cristo nelle nostre case e ai nostri vicini, sui posti di lavoro e nella società civile, sia che rimaniamo nelle nostre case, sia che ci rechiamo fino al più remoto angolo del mondo».
di Andrea Tornielli per Vatican Insider
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