Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Papa Francesco richiama, come spesso già in circostanze analoghe, la figura evangelica del buon samaritano incontrando, nella Sala Clementina del palazzo apostolico, gli esponenti dell’Area Medica dell’Ufficio di Pastorale Sanitaria della Diocesi di Roma, in occasione della Giornata Mondiale del Malato che si celebra l’11 febbraio. Alla presenza di Francesco ci sono i direttori di 13 grandi ospedali romani e alcuni medici, con la partecipazione dei volontari malati. Il Pontefice si rivolge a quanti nella capitale si prodigano per i malati, persone – dice – che hanno “saputo trasformare l’esperienza della sofferenza in vicinanza al dolore degli altri” e che pur vivendo sofferenze si sono proiettate verso l’altro, dando vita a storie di solidarietà e di speranza che hanno abbattuto i muri dell’isolamento e della paura. A loro il Papa evidenzia l’importanza di tre atteggiamenti: farsi vicini a chi soffre, dare voce alle sofferenze inascoltate, farsi fermento coinvolgente di carità.
È importante farsi vicini a chi soffre, offrendo ascolto, amore e accoglienza. Ma per far questo bisogna imparare a vedere, nel dolore del fratello, un “segnale di precedenza”, che in fondo al cuore ci impone di fermarci e non ci permette di andare oltre. Questa è una sensibilità che aumenta quanto più ci lasciamo coinvolgere dall’incontro con chi soffre. E camminare insieme così aiuta tutti noi a cogliere il senso più vero della vita, che è l’amore.
Quanto al “dare voce alla sofferenza inascoltata di chi, nella malattia, è lasciato solo, privo di sostegno economico e morale” e quindi più “esposto alla disperazione e alla perdita della fede, come può accadere a chi è affetto dalla fibromialgia e da dolore cronico”, Francesco lancia una sfida alle città di oggi “a volte deserte di umanità e sorde alla compassione”.
Accogliamo il grido di chi soffre e facciamo in modo che sia ascoltato. Non lasciamolo chiuso in una stanza, e nemmeno permettiamo che diventi semplicemente “notizia”: facciamogli posto dentro di noi e amplifichiamolo col nostro personale e concreto coinvolgimento.
Infine, a proposito del terzo atteggiamento da adottare al fianco di chi soffre, “farsi fermento di carità”, il Papa specifica che si tratta anche di “fare rete”, condividendo “uno stile di gratuità e di reciprocità”. Tutti, infatti, aggiunge Francesco, “siamo bisognosi e tutti possiamo donare e ricevere qualcosa, anche solo un sorriso”. Ed è questo che “fa crescere attorno a noi una ‘rete’”, “fatta di mani che si stringono, di braccia che lavorano insieme, di cuori che si uniscono nella preghiera e nella compassione”, che non si spezza “in mezzo alle onde più violente” e che “permette di trascinare a riva chi rischia di rimanere sommerso e rischia di affogare”. Il Papa rimarca che proprio “l’esempio di chi prende l’iniziativa aiuta anche altri a trovare il coraggio di lasciarsi coinvolgere”, come è il caso di quanti fanno parte dell’Area Medica dell’Ufficio di Pastorale Sanitaria della Diocesi di Roma: malati, operatori sanitari e appartenenti al mondo dello sport, uniti in un impegno comune per il bene delle persone.
Fare rete è operare insieme come membra di un corpo. La sofferenza di uno diventa sofferenza di tutti, e il contributo di ciascuno è accolto da tutti come una benedizione. Cari amici, stare vicino a chi è nel dolore non è facile, voi lo sapete bene. Per questo vi dico: non scoraggiatevi!
Terminando il suo discorso Francesco invita a trarre forza dal volto di chi soffre, volto di Cristo “che ha voluto condividere la nostra debolezza, la nostra fragilità fino a morire per noi e che, risorto, non ci abbandona mai”, e aggiunge che nella fragilità si è “vicini al cuore di Dio”. La strada da percorrere, dunque, afferma il Pontefice è “capire le fragilità, carezzare le fragilità, fare forti le fragilità“. Infine, il Papa chiede di pregare affinché crescano “la prossimità a chi soffre e l’impegno concreto nella carità, e perché nessun grido di dolore rimanga più inascoltato”.
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