Francesco chiede pace ma a Gaza continuano ad ammazzarsi

Le parole di Papa Francesco giungono in una ennesima giornata di violenze. Cinque palestinesi sono stati uccisi e altri 11 feriti in scontri scoppiati tra soldati israeliani e palestinesi a ridosso della barriera difensiva con Gaza.

Lo riferiscono fonti mediche spiegando che le violenze sono scoppiate vicino al kibbutz di Nahal Oz, dopo una sassaiola da oltre il confine. Da Gaza, il premier Haniyeh ha lanciato un appello per aumentare l’ondata di aggressioni e trasformarla in una Intifada per liberare Gerusalemme.

Nei giorni scorsi si erano verificate varie aggressioni da parte di palestinesi contro ebrei ortodossi. Intanto, gratitudine per l’appello del Papa per la pace in Medio Oriente hanno espresso tutti i presuli della regione. Leggiamo le parole del patriarca di Gerusalemme dei Latini Fouad Twal al microfono dell’inviato al Sinodo della Radio Vaticana Paolo Ondarza.

R. – Siamo molto molto grati per l’intervento del Santo Padre. Francamente, io avevo parlato con gli altri Patriarchi cattolici del Medio Oriente, chiedendo al Sinodo di fare un appello perché non possiamo tacere di fronte a quello che succede, in modo speciale a Gerusalemme. Ricordiamo tutti i discorsi del Santo Padre, nel maggio dell’anno scorso, la sua sosta al Muro che separa Betlemme da Gerusalemme; ci ricordiamo molto bene della sua buona intenzione di radunarci nei Giardini Vaticani con i due presidenti, israeliano e palestinese … Però, alla fine vediamo che non c’è stato nessun risultato, perché manca totalmente una buona volontà politica. Anche qui, nel Sinodo, tutte le nostre buone intenzioni come pastori rimarranno buone intenzioni, se la politica non viene ad aiutarci concretamente. Perché non ci basta studiare lo status della situazione: dobbiamo trovare la soluzione. Non si arriverà ad una soluzione, a mettere in atto risultati senza la politica, senza la buona politica, equilibrata, giusta, calma. Io mi sento un po’ limitato – per non dire “umiliato” –tornando a Gerusalemme, quando mi chiederanno: “E che cosa avete fatto?”, e la risposta sarà: “Abbiamo fatto il possibile”. Però, dato che non c’è collaborazione diretta dalla politica, dai politici stessi, rimaniamo un po’ come sospesi …

D. – Chiaramente, quanto parla di politica si riferisce alla politica internazionale …

R. – Certamente, la politica internazionale, però in modo speciale parlo della politica americana e israeliana: è inutile negarlo. Un mese fa abbiamo avuto una conferenza internazionale a Parigi per trattare dei rifugiati, dell’estremismo, della violenza e del terrorismo. Eravamo 60 Paesi, compresi l’Italia e la Santa Sede. Però, con mia grande sorpresa mancavano Stati Uniti d’America e Israele …

D. – La politica è sorda ai vostri appelli?

R. – Più che sorda, non entriamo nella loro agenda: noi, come Chiesa, noi, come comunità cristiana … Anche la nostra presenza o la nostra non-presenza, in questa politica internazionale senza etica, non dice niente. Non siamo presi in considerazione come si deve.

D. – In Israele, a Gerusalemme, sembra dilagare il clima di tensione in queste ultime ore, con rappresaglie. I cattolici, in particolare, le famiglie come vivono?

R. – Vivono molto, molto, molto male da almeno un mese, da quando hanno incominciato a costruire il muro di Cremisan nei territori cristiani, un muro che non protegge nessuno. Il fatto che tutti questi atti di morte e di violenza hanno avuto luogo all’interno del muro e non al di fuori del muro: questo dice che è inutile pretendere che questo muro sia una protezione. Nessun muro protegge nessuno. C’è una legge, c’è un rispetto reciproco: rispettiamo la dignità di ciascuno, siamo in pace; altrimenti è inutile far pace con la forza …




di Paolo Ondarza per la Radio Vaticana

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