Le ferite che in questo tempo hanno determinato “profonde lacerazioni”, a causa di numerose guerre, e la loro possibile guarigione attraverso l’impegno ad essere artigiani di pace.
È questo il chiaroscuro con cui si apre il discorso di Papa Francesco in occasione dell’inaugurazione del 94.mo anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Dopo la terribile prova della pandemia, lo scoppio del conflitto in Ucraina e la sua tragica evoluzione, afferma il Papa, “hanno fatto ripiombare il mondo intero in una crisi profonda, aggravata dai molteplici focolai di guerra che continuano a divampare anche in altre nazioni”:
In effetti, ci sono guerre che a volte toccano più da vicino, ma la realtà è che i conflitti nel mondo sono tanti, e sono una sorta di autodistruzione (cfr Conferenza-stampa nel volo di ritorno dal Sud Sudan, 5 febbraio 2023). Di fronte a questi scenari, cresce in noi l’anelito alla pace e alla giustizia. Si rafforza nella nostra coscienza, fino a diventare imperativo, il bisogno di dare testimonianza per aiutare a costruire la pace e la giustizia.
I cristiani sono chiamati a portare mondo l’annuncio che Gesù ha ripetuto ai discepoli: “Pace, pace a voi”. Sono chiamati, spiega il Papa ricordando le parole che ha pronunciato durante la Messa a Kinshasa lo scorso primo febbraio, “ad essere coscienza di pace del mondo:
Ogni impegno per la pace implica e richiede l’impegno per la giustizia. La pace senza giustizia non è una vera pace, non ha solide fondamenta né possibilità di futuro. E la giustizia non è un’astrazione o un’utopia. No. Nella Bibbia, essa è l’adempimento onesto e fedele di ogni dovere verso Dio, è compiere la sua volontà. Non è solo il frutto di un insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma è la virtù per cui diamo a ciascuno ciò che gli spetta, indispensabile per il corretto funzionamento di ogni ambito della vita comune e perché ognuno possa condurre una vita serena.
Riferendosi alla prospettiva in cui si inseriscono le attività dei Tribunali dello Stato della Città del Vaticano, il Papa ricorda poi che le “controversie giuridiche e i relativi processi sono aumentati”. Come anche “è aumentata, in non pochi casi, la gravità delle condotte che vengono in rilievo, soprattutto nell’ambito della gestione patrimoniale e finanziaria”.
Qui bisogna essere chiari ed evitare il rischio di “confondere il dito con la luna”: il problema non sono i processi, ma i fatti e i comportamenti che li determinano e li rendono dolorosamente necessari. Infatti, tali comportamenti, da parte di membri della Chiesa, nuocciono gravemente alla sua efficacia nel riflettere la luce divina. Grazie a Dio, però, «non vengono meno […] né il desiderio profondo di questa luce né la disponibilità della Chiesa ad accoglierla e condividerla», perché i discepoli di Cristo sono «chiamati ad essere “luce del mondo” (Mt 5,14). Questo è il modo con cui la Chiesa riflette l’amore salvifico di Cristo che è la Luce del mondo (cfr Gv 8,12)».
La Chiesa, sottolinea il Pontefice, adempie il suo mandato soprattutto quando testimonia la misericordia. Un amore così grande, la misericordia di Dio, che sempre “ci sorregge, ci rialza, ci guida”.
Con questo atteggiamento di misericordia e di vicinanza siamo chiamati a guardare i fratelli e le sorelle, soprattutto quando sono in difficoltà, quando sbagliano, quando sono sottoposti alla prova del giudizio. Una prova che a volte è necessaria, quando si tratta di accertare condotte che offuscano il volto della Chiesa e destano scandalo nella comunità dei fedeli. È di aiuto a tal fine l’esercizio di un rigoroso discernimento, che «impedisce di sviluppare una morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati»; come pure il prudente ricorso al canone dell’equità, che può favorire la ricerca del necessario equilibrio fra giustizia e misericordia.
“Misericordia e giustizia – conclude Francesco – non sono alternative ma camminano insieme, procedono in equilibrio verso lo stesso fine, perché la misericordia non è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento”. La via della giustizia “rende possibile una fraternità in cui tutti sono tutelati, specialmente i più deboli”.
Nell’indirizzo di saluto al Papa, il promotore di giustizia Alessandro Diddi ha ricordato che l’Ufficio che rappresenta è chiamato a lavorare “con sobrietà e riservatezza”, “schivando i condizionamenti derivanti dai pregiudizi e dalle seduzioni mediatiche”. “Altri impegni, non meno delicati di quelli già affrontati, si affacciano all’orizzonte. La crescente attenzione che l’opinione pubblica riserva alle nostre attività e il giudizio che molti, ogni giorno, esprimono sul nostro operato, ci rendono consapevoli della grande responsabilità che ci ha affidato e della necessità di adempiere ai nostri doveri con scrupolo e accuratezza, ma, soprattutto, con grande rispetto dei valori sottesi alle garanzie del giusto processo”. All’incontro hanno preso parte anche diversi rappresentanti dei più alti organi giurisdizionali dello Stato italiano.
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