Accompagnare la famiglia, difendere il matrimonio, mai attaccati come oggi. Questa la riflessione di Papa Francesco al movimento apostolico Schoenstatt, ricevuto in Aula Paolo VI in occasione del centenario di fondazione, avvenuta in Germania nell’ottobre 1914 per volontà di padre Giuseppe Kentenich. L’incontro, a cui hanno partecipato circa 7.500 persone, è stato animato da un dialogo dei presenti col Pontefice e da testimonianze e video di comunità, sposi, famiglie e giovani provenienti da una cinquantina di Paesi. All’evento hanno preso parte anche i rappresentanti di vari movimenti ecclesiali, tra cui la presidente dei Focolari, Maria Voce.
La famiglia e il matrimonio, mai “tanto attaccati” come al giorno d’oggi. Papa Francesco, sollecitato dalle domande di alcuni esponenti del movimento apostolico Schoenstatt, torna sui temi del recente Sinodo dei vescovi e nota come sempre più nella società si proponga un modello di famiglia intesa come forma di “associazione” :
“Che la famiglia sia colpita, che la famiglia venga colpita e che la famiglia venga imbastardita, come – va bene – è un modo di associazione… Si può chiamare famiglia tutto, no? Quante famiglie sono divise, quanti matrimoni rotti, quanto relativismo nella concezione del Sacramento del Matrimonio. In questo momento, da un punto di vista sociologico e dal punto di vista dei valori umani, come appunto del Sacramento cattolico, del Sacramento cristiano, c’è una crisi della famiglia, crisi perché la bastonano da tutte le parti e la lasciano molto ferita!”.
Quindi il Pontefice invita a riflettere sulla realtà contemporanea, in cui – sottolinea – viene “svalutato” il Sacramento del matrimonio: si assiste – nota – alla “riduzione del Sacramento ad un rito”, “si fa del Sacramento un fatto sociale”, “il sociale copre la cosa fondamentale, che è l’unione con Dio”:
“Quello che stanno proponendo non è un matrimonio, è una associazione. Ma non è matrimonio! E’ necessario dire cose molto chiare e questo dobbiamo dirlo! La pastorale aiuta, ma solamente in questo è necessario che sia ‘corpo a corpo’. Quindi accompagnare e questo significa anche perdere il tempo. Il grande maestro del perdere il tempo è Gesù! Ha perso il tempo accompagnando, per far maturare la coscienza, per curare le ferite, per insegnare… Accompagnare è fare un cammino insieme”.
In tal senso, il Santo Padre sollecita per i fidanzati una preparazione approfondita al matrimonio, un accompagnamento, per capire quel “per sempre” che oggi viene messo in discussione dalla “cultura del provvisorio”, senza “scandalizzarsi” di ciò che avviene, i “drammi familiari, la distruzione delle famiglie, i bambini” che soffrono per i disaccordi dei genitori, ma anche le nuove convivenze:
“Sono nuove forme, totalmente distruttive e limitative della grandezza dell’amore del matrimonio. Ci sono tante convivenze e separazioni e divorzi: per questo la chiave di come aiutare è ‘corpo a corpo’, accompagnando e non facendo proselitismo, perché questo non porta a risultati: accompagnare, con pazienza”.
Di fronte ai simboli della spiritualità di Schoenstatt, la Croce della missione – legata al forte impulso missionario del movimento – e l’immagine della Vergine Pellegrina e dopo la lettura del Vangelo della Visitazione, con l’incontro tra Maria e la cugina Elisabetta, i presenti chiedono al Papa del suo “grande amore per la Vergine” e del suo “modo di vedere il ruolo missionario” della Madonna. Papa Francesco non ha dubbi: Maria è madre, educatrice e “una Chiesa senza Maria – dice – è un orfanotrofio”.
“Maria è madre, e non si può concepire nessun altro titolo di Maria che non sia ‘la madre’. Lei è madre, perché ci porta a Gesù e ci aiuta con la forza dello Spirito Santo perché Gesù nasca e cresca in noi, che continuamente ci sta dando vita. E madre della Chiesa. E’ maternità. Non abbiamo il diritto – e se lo facciamo ci sbagliamo – ad avere un psicologia di orfani. Il cristiano non ha diritto di essere orfano. Ha una madre! Abbiamo una madre”.
Fondato durante la Prima Guerra Mondiale, il movimento di Schoenstatt nacque per volontà di padre Josef Kentenich, che diede vita all’iniziativa con un gruppo di giovani seminaristi, attraverso un atto chiamato “Alleanza d’Amore con Maria”. Con la Seconda Guerra Mondiale, l’esperienza si rafforzò e, dopo un duro periodo d’internato nel campo di concentramento di Dachau, padre Kentenich “partì verso quelle che erano le periferie del mondo di allora, Argentina, Brasile, Cile, Uruguay e Sudafrica, per servire la Chiesa”, come ha ricordato nei saluti il Superiore dei padri di Schoenstatt, padre Heinrich Walter. Nel tempo il movimento si è esteso in tutto il mondo. A chi, tra i giovani, espone al Santo Padre la difficoltà a portare in certi ambienti l’impulso missionario, Papa Francesco ricorda il Papa emerito Benedetto XVI e risponde:
“Testimonianza. Vivere in modo tale che altri abbiano voglia di vivere, come noi! Testimonianza, non c’è altro! Vivere in modo che altri si interessino a chiedere: “Perché”? E’ la testimonianza, il cammino della testimonianza non c’è nulla che lo supera… Testimonianza in tutto. Noi non siamo salvatori di nessuno, siamo trasmettitori di un ‘alieno’ che ci salvò tutti e questo possiamo trasmetterlo soltanto se assumiamo nella nostra vita, nella nostra carne e nella nostra storia la vita di questo ‘alieno’ che si chiama Gesù”.
Il Pontefice si riferisce a un “testimonianza che abbia anche la capacità di farci muovere, di farci uscire, di andare in missione”, pregando:
“Una Chiesa, un movimento o una comunità chiusa è malata: tutte le malattie sono chiusure… Un movimento, una Chiesa, una comunità che esce, si sbaglia… Si sbaglia, ma è tanto bello chiedere perdono quando si sbaglia! Non abbiate paura! Uscire in missione; uscire in cammino. Siamo camminatori”.
Il Papa, coi presenti che lo sollecitano, si definisce “un poco incosciente”, dice, “temerario”, ma sicuramente confessa di abbandonarsi alla preghiera:
“Mi aiuta non guardare le cose dal centro – c’è un solo centro: Gesù Cristo – piuttosto guardare le cose dalla periferia, no? Dove si vedono più chiare. Quando uno si chiude in un piccolo mondo – il mondo del movimento, della parrocchia, dell’arcivescovado, della Curia – allora non si afferra la verità. Sì, forse la si afferra in teoria, ma non si afferra la realtà della verità in Gesù. La verità si afferra meglio dalla periferia piuttosto che dal centro. Questo mi aiuta”.
Lo sguardo del Papa va anche alla Chiesa:
“In alcune conferenze episcopali, in alcuni episcopati che hanno incaricati per qualsiasi cosa, per tutti, non scappa niente… Tutto ben funzionante, tutto ben organizzato, ma mancano in alcune cose che potrebbero fare con la metà, con meno funzionalismo e più zelo apostolico, più libertà interiore, più preghiera… Questa libertà interiore è coraggio di uscire”.
E l’invito è a rinnovarsi continuamente:
“Rinnovare la Chiesa non è fare un cambio qui, un cambi lì… Bisogna farlo perché la vita sempre cambia e quindi bisogna adattarsi. Però questo non è il rinnovamento. Anche qui, fra il pubblico, mentre lo dicevo: “Bisogna rinnovare la Curia”; “Si sta rinnovando la Curia; la Banca Vaticana, è necessario rinnovare”. Tutti questi sono rinnovamenti esterni: questo è quello che dicono quotidianamente… E’ curioso, nessuno parla del rinnovamento del cuore. Non capisce niente di quello che è il rinnovamento del cuore: che è la santità, rinnovando il cuore di ognuno”.
E un cuore rinnovato, aggiunge il Papa, è capace di andare oltre i disaccordi, che siano “disaccordi familiari” o “di guerra”, oltre la “cultura del provvisorio, che è una cultura di distruzione di legami”, per andare verso una cultura dell’incontro. Quindi la benedizione delle Croci dei presenti, con l’invito ad essere missionari nei 5 Continenti. Prima di congedarsi, il Papa ricorda che tempo addietro gli fu regalata un’immagine della Madre di Schoenstatt: prega e l’ha sempre con sé.
Il servizio è di Giada Aquilino per la Radio Vaticana