D. – Papa Francesco ritorna in Asia a cinque mesi dalla visita in Corea, dove ha indicato nel dialogo interreligioso la prima missione della Chiesa nel Continente. Ritiene che anche in questi due Paesi così diversi insisterà su questo punto?
R. – La missione della Chiesa nelle Filippine e nello Sri Lanka è quella della Chiesa in tutto il mondo: annunciare il Vangelo, proclamare la buona notizia di Gesù che è fonte di vita e di speranza per tutti gli uomini. Tenendo conto naturalmente del contesto nel quale essa si trova a vivere e a operare. Un contesto caratterizzato da una molteplicità, quasi da un mosaico di società, di culture e di religioni. Il continente asiatico è la culla delle grandi religioni del mondo. E poi tenendo conto del fatto che la Chiesa è una piccola minoranza, un piccolo gregge in mezzo a questa realtà così vasta. E allora anche questa missione dovrà modularsi in base a queste caratteristiche. Mi sembrano due i punti di forza di questa missione: da una parte l’aspetto delle attività caritative e umanitarie nel campo della salute e dell’educazione che già riscuotono grande apprezzamento presso l’intera popolazione e i Governi dei vari Paesi; e sull’altro versante l’aspetto del dialogo interreligioso: promuovere e consolidare sempre più l’incontro, il rispetto e l’accettazione reciproca, tenendo conto anche di quello che il Papa dice nell’Evangelii gaudium che il dialogo interreligioso è fondamentale per la pace oggi nel mondo e che quindi diventa un dovere di tutte le religioni. Questo sarà un punto nodale, focale dell’attenzione del Papa durante il viaggio.
D. – Nello Sri Lanka purtroppo le differenze etniche e religiose continuano a essere motivo di tensione tanto che nel Paese si è sviluppato persino un fondamentalismo buddista. Qual è in questo scenario complesso la missione, il compito dei cristiani?
R. – A me sembra che se c’è un luogo nel quale si deve parlare di una funzione di ponte è proprio nello Sri Lanka. Ed è proprio nella Chiesa nello Sri Lanka. Anche perché la Chiesa è facilitata in questo suo compito dal fatto che raccoglie membri, raccoglie fedeli da entrambe le etnie principali, sia dai tamil sia dai cingalesi, e quindi la Chiesa conosce un po’ quello che c’è nel cuore di ognuno e conosce anche le aspettative; e quindi può svolgere questo compito, questa funzione di riconciliazione, di dialogo e di collaborazione. Però vorrei sottolineare anche il fatto che lo Sri Lanka tradizionalmente ha conosciuto un grande sviluppo di questa armonia religiosa fra le varie religioni, si è sempre caratterizzato per questo incontro, per questo dialogo. Purtroppo, ultimamente sono sorti dei gruppi estremisti che manipolano un po’ l’opinione pubblica e creano tensione utilizzando la religione per scopi che non sono chiari. Noi auspichiamo appunto che questa tradizione che c’è di dialogo interreligioso e di collaborazione possa prevalere su questi nuovi tentativi di destabilizzare la situazione e nello stesso tempo auspichiamo anche che le autorità possano intervenire proprio per preservare questi che sono valori fondamentali della popolazione.
D. – Il Papa visiterà anche il santuario di Madhu nella regione a prevalenza Tamil. Qual è l’itinerario che deve seguire il cammino di riconciliazione dopo tanti anni di guerra che hanno seminato numerosissime vittime?
R. – Direi che Madhu è un po’ il simbolo di questa “Chiesa ponte” di cui parlavo, proprio perché è un centro di preghiera ed è anche un centro di incontro. Il santuario di Madhu è conosciuto e apprezzato e frequentato anche da membri di altre religioni, non solo dai cattolici. Ricordiamo poi anche gli episodi legati alla guerra civile, quando Papa Benedetto chiese all’allora presidente della Repubblica di fare di tutto per preservare l’incolumità di quel santuario proprio per questa sua caratteristica: si trovava allora sulla linea del fronte fra i due gruppi che si combattevano, ed era diventato un centro di presenza di molti sfollati da entrambe le parti. Credo che Papa Francesco, come ha fatto l’8 febbraio, quando ha incontrato la comunità srilankese in San Pietro, ricorderà tutti questi episodi dolorosi, le tante lacrime, lui diceva, che sono state versate a causa della violenza e della crudeltà del conflitto. Non tanto per riaprire ferite, quanto piuttosto per lanciare uno sguardo al futuro. Questo impegno di riconciliazione deve caratterizzare tutte le componenti della società dello Sri Lanka. Un impegno di riconciliazione che passa attraverso il riconoscimento della verità. Credo siano queste le tappe: un’attenzione alla giustizia e una collaborazione di tutti per il bene comune.
D. – Le Filippine sono l’unico Paese a maggioranza cattolica dell’Asia. Come si può valorizzare la presenza di questa Chiesa giovane e dinamica all’interno del continente?
R. – Mi hanno detto proprio ieri sera dei filippini che sono tornati in questi giorni dal loro Paese, che in queste settimane c’è veramente una preghiera corale intensissima in preparazione alla visita del Papa. Queste sono premesse molto positive. Credo che la valorizzazione passi attraverso il riconoscimento del ruolo che la Chiesa nelle Filippine ha sia nel contesto asiatico e del Sudest asiatico sia nel contesto mondiale. Il Papa vuole con questo viaggio, in continuazione appunto con quello in Corea, concentrare l’attenzione della Chiesa su questa realtà; e nello stesso tempo anche inserirsi in quel cammino di nove anni che ci sta portando alla celebrazione del quinto centenario dell’arrivo del Vangelo nelle Filippine, nel 1521. E quest’anno è l’anno dedicato ai poveri. Allora la centralità deriva dal numero: cioè le Filippine sono uno dei Paesi del Sudest asiatico dove la maggioranza della popolazione è cattolica. Dico uno, perché c’è anche Timor Est, dove il novanta per cento della popolazione è cattolica: non dobbiamo dimenticare anche questo. Le Filippine sono stato anche geograficamente un po’ il centro: basti pensare a quanti incontri importanti vi si sono svolti, a partire dalla visita del beato Paolo VI nel 1970, che poi diede anche origine alla costituzione della Federazione delle Conferenze episcopali asiatiche. Credo che l’altro punto importante sia la centralità delle Filippine per esempio per gli studi di tantissimi giovani che da vari Paesi asiatici limitrofi vengono per approfondire la loro formazione che si dà nelle differenti università cattoliche del Paese. E infine c’è anche l’irradiazione dei filippini nel mondo: sappiamo come i filippini siano presenti in tantissimi Paesi dell’Asia, ma anche dell’America e dell’Europa. Quindi le potenzialità di evangelizzazione delle Filippine sono molteplici, l’importante è che la Chiesa nelle Filippine accolga questo messaggio e questo impulso dato da Papa Francesco a essere una Chiesa in uscita: una Chiesa che sente il compito di evangelizzazione e di annuncio del Vangelo.
D. – Il tema sarà misericordia e compassione e Papa Francesco le mostrerà e le chiederà per le vittime dei tifoni e dei terremoti, ma anche per le vittime di povertà, ingiustizie e corruzione…
R. – Questo è un po’ il tema del viaggio: mostrare compassione, mostrare misericordia nei confronti delle tante persone che soffrono, che soffrono per le calamità naturali, soprattutto nelle Filippine; che soffrono per ingiustizie strutturali, come sono la povertà e la corruzione; che soffrono anche per le conseguenze ancora vive del conflitto civile. È una misericordia, una compassione che guarisce, in primo tempo. Quindi è questo un po’ il senso della presenza del Papa: portare un elemento, una dimensione di guarigione e di conforto in questa situazione. E nello stesso tempo — proprio perché in questo senso la misericordia e la compassione sono elementi attivi — richiamare tutti a dare il proprio contributo affinché queste ferite possano essere rimarginate e questi dolori possano essere confortati e soprattutto si possano superare le cause che li hanno provocati.
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