“Francesco va e ripara la mia casa” – Veglia con i giovani e photogallery

“Francesco va e ripara la mia casa” è sicuramente questo il primo pensiero, il primo impatto, il primo richiamo della veglia di questa notte, prima ancora di sapere che il discorso di Papa Francesco sarebbe iniziato così, questa era già la frase più rappresentativa di questa notte e forse di tutta questa GMG. Francesco va, ripara la mia casa, ma Francesco non è il Papa, o almeno non è solo lui. Francesco è ognuno di noi. Francesco è il pellegrino che è giunto a Rio tra mille sacrifici e mille difficoltà logistiche ed economiche; Francesco è ogni vescovo che nel preveglia impara la coreografia per il flashmob di domani mattina; Francesco è ogni operatore dei media che contribuisce a portare il messaggio di questa notte in tutto il mondo; Francesco è ognuno dei ragazzi che nelle decine di diocesi italiane stanno vivendo in comunione con Rio questa veglia, Francesco siamo noi che nelle nostre case, seguiamo in tv e condividiamo nei social pensieri ed emozioni, Francesco sono i giovani che hanno dato testimonianza prima del discorso del Santo Padre.

“Francesco va, ripara la mia casa” ma ha detto bene Papa Francesco, non si tratta di fare il muratore e di rimettere su quattro mattoni, si tratta di ricostruire la Casa del Signore, di mettersi al suo servizio e di farsi discepoli e missionari, di riparare la Chiesa “perché in essa si rifletta sempre di più il volto di Cristo”, e come San Francesco risponde con prontezza a questa chiamata oggi siamo noi a dover rispondere con la stessa velocità, la stessa gioia e la stessa fede a questa richiesta di aiuto, “anche oggi Gesù ha bisogno dei suoi giovani, anche oggi chiama ciascuno di noi a seguirlo e a diventare missionari”.

E tutto in questa GMG sembra avere un senso, un unico punto di arrivo, un’unica meta da raggiungere seppure attraverso un sentiero contorto. Una veglia francescana che non sappiamo con certezza quando abbia cominciato a prendere forma, ma presumibilmente è stato prima della rivoluzione che ha travolto la Chiesa lo scorso febbraio, in uno stato tra i più vivi spiritualmente scelto quando ancora nulla di tutto ciò che è accaduto negli ultimi anni poteva essere previsto, e in fine in un luogo, modificato all’ultimo momento, che è simbolo di svago e di vacanza ma che per una notte si trasforma in un santuario a cielo aperto.

Il Santo Padre ha una spiegazione anche per questo, una spiegazione che ha una sua logica, oltre che una sua spiritualità: “Non abbiamo potuto usare il Campus Fidei perché forse il Signore ci vuole dire che il vero campus fidei non è un posto geografico ma siamo noi!” e giù applausi “Si, è vero! Noi siamo il campo della fede”!

Già questo basterebbe a tutti i giovani a Rio e a tutti quelli che, indipendentemente dall’orario, stanno seguendo questa veglia, per andare a dormire o continuare la loro giornate con un messaggio nuovo nel cuore e una responsabilità grande sulle spalle. Ma a Francesco questo non basta, a Cristo questo non basta.

“Francesco va, ripara la mia casa” è questo che ci chiede. Ma per farlo dobbiamo prima essere campo buono per la semina: “Lasciate entrare il seme di Dio – ci dice il Papa – poi Gesù fa tutto il resto per farlo crescere ma permettete al seme di entrare nel vostro cuore e di germogliare”. E non è solo un invito, è un richiamo alla nostra coscienza: “Quale terreno vogliamo essere? Rispondete nel silenzio del vostro cuore. Io lo so che voi volete essere terra buona non cristiani con il naso all’insù, cristiani solo di facciata, so che voi non volete vivere nell’illusione della libertà che si lascia trascinare dalla mode del momento, di questo si, sono sicuro di non sbagliarmi” e a questo punto chi potrebbe osare contraddirlo?!

Ma non basta ancora, nessuna gmg che si rispetti può finire senza aver trasformato nel profondo il cuore di ogni persona che vi abbia partecipato. E allora Francesco si dimostra ancora una volta un uomo saggio che sa toccare le corde dei cuori e dei giovani e il calcio diventa il modo per richiamare l’attenzione: “Cosa fa un giocatore quando è convocato? Deve allenasti! Ecco così è la mostra vita di discepoli! Gesù ci offre qualcosa di superiore della coppa del mondo, Gesù ci offre la possibilità di una vita felice e di una vita futura che non finirà, ma ci chiede un’entrata e cioè che noi siamo in forma, per affrontare tutto senza paura e che ci alleniamo con il dialogo, con la preghiera”. Ma sarebbe facile se in una città come Rio l’allenamento consistesse in una partitella a calcio tra amici. Invece no, l’allenamento è più profondo e più faticoso: “Chiedete a Gesù cosa vuoi che io faccia, quando sbagliate, quando fate un errore non abbiate paura chiedete a Gesù cosa devo fare adesso! È così che vi allenerete ad essere discepoli missionari”

Eppure non è ancora finita, decine sono i ragazzi inquadrati già in lacrime a questo punto della veglia, ma come spesso accade, il meglio deve ancora venire, e stavolta è un meglio pesante, un impegno che richiede sforzo, che richiede coraggio, che richiede forza: “Volete costruire la chiesa? Ne avete voglia?” il si, forte, deciso, “violento” che arriva dalla spiaggia di Copacabana è uno schiaffo potente, un vento sferzante, un onda anomala, e lo stesso Papa a impressionarsi: “Domani vi dimenticherete di questo si?” il no successivo non lascia spazio a dubbi. E poi un invito, che è quasi una preghiera “Per favore ragazzi, non mettetevi in fondo alla storia, siate protagonisti, guardate avanti sempre! Siate pietre vive, andate e siate costruttori della Chiesa di Cristo!”

E a quanti nel silenzio del proprio cuore si stanno domandando come fare, come poter essere protagonisti del cambiamento, come poter incidere sul domani, essere finestre sul futuro, Papa Francesco sembra leggere nel pensiero: “Rubo le parole a Madre Teresa, da dove cominciamo a costruire la Chiesa? Da voi e da me”

Ed eccoci qui, alla fine di questo discorso, alla fine di questa veglia quando l’Eucarestia fa il suo ingresso come ospite d’onore sul palco di Copacabana, in un silenzio irreale che già a Madrid avevamo ascoltato in tutta la sua potenza, mentre i ragazzi festanti si fermano immobili a pregare Gesù Sacramentato con in mano rosari e le guance rigate di lacrime risuonano ancora forti nei cuori di ciascuno le parole del Papa “Non dimenticate, voi siete il  campo della fede, voi siete gli atleti di Cristo, voi siete costruttori di una nuova chiesa”.

Servizio di Alessandra Pontecorvo

 

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