«La periferia a ovest della città è ancora sotto attacco. Ma dopo i giorni terribili che abbiamo passato nel mese di luglio, le cose ora vanno un po’ meglio». Padre Firas Lutfi, francescano della Custodia di Terra Santa, parla dalla città di Aleppo, dove è superiore del convento di Er Ram, colpito l’ultima volta solo qualche settimana fa.
«L’attentato che ha distrutto parte del collegio ha causato due morti, ma noi non ci arrendiamo e continuiamo a testimoniare il Bene che ha catturato la nostra vita».
Un Paese devastato
Dall’imponente struttura francescana diretta da padre Firas si scorge quasi tutta la città di Aleppo. O quel che resta, dopo cinque anni di guerra. Sulla cima della collina si erge ancora l’antica cittadella proclamata Patrimonio dell’umanità, mentre a scendere il panorama si fa più desolante: case semidistrutte in mano alle brigate jihadiste, edifici cadenti teatro di un conflitto interminabile. A pochi metri dal convento dei Francescani la linea che divide la zona in mano al regime dalle strade controllate dai jihadisti. I palazzi edificati nella storia plurisecolare di questa città oggi sono la base dei cecchini che controllano la città martire della Siria. Ed è tra queste vie che «la gente è abbandonata a se stessa. A queste persone senza speranza noi non possiamo solo offrire cibo e acqua, perché hanno bisogno di recupero psicologico. E in tanti casi anche di lavoro». Una persona che non lavora si sente inutile e si lascia morire. Per questo, appena è stato possibile, «abbiamo avviato alcune attività commerciali per permettere alle persone di lavorare». Per non farli morire, per dargli una dignità e un futuro. In un luogo dove acqua ed elettricità arrivano solo per qualche ora al giorno, e poter vivere è un lusso. «È stata solo la Misericordia la luce potente che ha illuminato il mio, il nostro stare qui ad Aleppo. Quella luce che mi ha permesso di vedere Gesù nell’uomo sofferente», dice senza mai perdere il buonumore. Come è stato per esempio il centro estivo, che ha accolto 350 ragazzi di Aleppo. “Misericordiosi come il padre” è il tema che ha guidato queste otto settimane, per seguire la linea indicata da papa Francesco nell’anno giubilare. «Non poteva essere altrimenti, perché anche noi abbiamo bisogno di sperimentare la sua Misericordia. E di essere misericordiosi. Abbiamo chiesto ai ragazzi di vivere in prima persona alcuni gesti di misericordia – soprattutto di carattere materiale – incontrando gli altri che hanno bisogno». È «l’incarnazione della Misericordia divina», attraverso dei gesti semplici che in Siria sembrano “impossibili” per l’uomo. «Perché solo quando non ci chiudiamo nel nostro ego, allora diventiamo importanti per gli altri».
Ricostruire sotto le bombe
Nel frattempo padre Lutfi ha iniziato anche la ristrutturazione del convento colpito, per poter accogliere sempre più persone. Alcuni però gli suggeriscono prudenza. «Chi ci assicura che non venga bombardato?». Sereno, risponde: «Ho deciso di andare controcorrente, e di aprire le porte a tutti». Charitas Christi urget nos, ripete citando la liturgia. La presenza dei Francescani è un punto di salvezza. «I cristiani che sono rimasti ci guardano, hanno bisogno di noi. E anche se le ragioni per fuggire non mancano, sono di più quelle che ci spingono a rimanere». Padre Lutfi è preoccupato per i recenti avvenimenti in Turchia, e soprattutto in questo momento è fondamentale «non chiudersi nel proprio io, ma puntare incondizionatamente sulla carità: io, che per primo sono stato oggetto di carità da Cristo, devo portarla agli altri». Le sue parole infondono speranza, come quelle che ha pronunciato qualche settimana fa, durante una festa nel cortile dell’oratorio: «La gente si fermava, fotografava i ragazzi che cantavano e ballavano». Volevano vedere quegli strani cristiani così stranamente festosi, mentre la guerra mostrava tutta la sua brutalità. A un certo punto però le bombe cominciano a cadere. «Allora abbiamo girato le casse del nostro stereo, puntandole “contro” la zona dei jihadisti. Non riusciranno ad avere la nostra paura. Perché ogni giorno vogliamo sfidare le bombe e la morte con la nostra gioia di vivere».
La grazia della speranza
Il 24 agosto padre Firas sarà al Meeting di Rimini, che quest’anno ha il titolo Tu sei un bene per me. «Difficile ripeterlo quando davanti agli occhi hai i terroristi che distruggono tutto. È una grazia poterlo dire, un dono dal cielo. Eppure l’altro è un bene, perché mi dice chi sono io. Mi rende presente a me stesso. Me lo ha insegnato un giovane ragazzo musulmano, che ogni giorno viene da noi per sistemare le zone colpite del convento. Sta con noi a pranzo, e condividiamo diversi momenti durante la giornata, parlando e scherzando come tra amici fraterni. Proprio qualche giorno fa, mi diceva: “Quanto è bello vivere qui, con voi. Si respira un’aria bella, di carità. Non vorrei più andarmene. Mi ha insegnato a stare in famiglia e con i miei figli”. Ecco, penso che sia così, il bene emerge sempre di più», conclude padre Firas. «E ci aiuta a dissipare il buio che ci circonda».
Redazione Papaboys (Fonte www.credere.it/Andrea Avveduto)