Anche una bambina di 10 anni può avere le idee molto chiare. È il caso di Myriam, una bambina originaria di Qaraqoush, nel nord dell’Iraq, che ora vive in un campo profughi dopo che la sua terra è stata assalita e devastata. Intervistata da un giornalista della tv satellitare Sat7 che opera in Medio Oriente ha detto: “Non sono arrabbiata con Dio. Lo ringrazio perché si occupa di noi, sono molto triste perché ci hanno costretto a lasciare la nostra casa. Ma Dio ci ama e non ha permesso che ci uccidessero”
.Sono storie anche di grande carità, come quella che ha visto Iyad, un cristiano iracheno che lavorava come decoratore a Mosul in Iraq, che, insieme alla moglie e a quattro figli, ha dovuto abbandonare all’improvviso il suo paese a causa delle persecuzioni, trovando ospitalità presso una famiglia francese di Lione. “Non riusciamo ad esprimere quello che sentiamo, a volte mi trovo con Marie-Thérèse e François e vorrei tanto esprimere loro il mio affetto anche con le parole ma non riesco, la lingua è difficile. Ma questo non è un ostacolo di fronte all’amore”.
Incredibile la storia di Musa Lami, 27 anni, rapita dal gruppo terroristico di Boko Haram e liberata grazie all’intervento dall’esercito nigeriano. Musa ha dichiarato alla Associated Press: “Dobbiamo solo ringraziare Dio che siamo vivi; siamo sopravvissuti per la grazia di Dio”. Musa quando è stata rapita era incinta di cinque mesi; è stata costretta a lasciare i suoi tre figli senza conoscere il suo destino. È stata costretta ad abortire perché i terroristi ritenevano che avesse in grembo un infedele e a sposare un comandante di Boko Haram, che ha ucciso il marito.
“Non abbiamo la pretesa di cambiare le sorti della guerra, ma abbiamo la possibilità di cambiare noi stessi“.Sono le parole di Padre Pizzabballa, Custode di Terra Santa e Presidente di Associazione pro Terra Sancta, che racconta anche storie di soliderietà tra cristiani e musulmani nelle terre più martoriate dalla guerra: “Ho assistito a un funerale: c’erano donne musulmane che partecipavano alla messa assieme ai vicini cristiani. È fondamentale restare in Siria, perché la gente non ha solo bisogno di pane per vivere. A volte conta di più una parola di conforto, un abbraccio o una stretta di mano. Non abbiamo la pretesa di cambiare le sorti della guerra, ma in questa guerra abbiamo davvero la possibilità di cambiare noi stessi, di rimboccarci le maniche e darci da fare, di continuare a credere che l’uomo sia fondamentalmente buono perché creato a immagine di Dio, e non permettere che la logica della guerra diventi anche per noi il criterio con il quale guardare a tutta questa violenza. I frati operano nonostante tutto con una normalità disarmante. Anche nella paura, che è grande e innegabile”.
Straordinaria la storia di Francesca Marina nata sul pavimento dell’hangar della nave Comandante Bettica, tra teloni di plastica e cartoni. Il reparto maternità è stato organizzato in mezzo a oltre 600 profughi provati dalla traversata su un gommone, appena salvati dalla Marina Militare nel Canale di Sicilia. I pannolini: cotone idrofilo avvolto nella garza. La culla: una scatola di biscotti. La coperta: lenzuola usa e getta. La mamma, una nigeriana che aveva attraversato deserti e mari per sfuggire a una triste sorte, l’ha partorita in stato di incoscienza, in preda a crisi epilettiche. Non aveva nulla con sé, nemmeno uno zainetto. Solo il pancione, gli abiti lisi e un biglietto zuppo di acqua di mare con tre numeri di telefono e la scritta: “God is my way”. «Da quel biglietto abbiamo capito che probabilmente è cristiana. Dopo una lunga discussione abbiamo deciso di chiamare la neonata Francesca Marina: sul nome del Papa si sono trovati tutti d’accordo», queste le parole di chi l’ha soccorsa.
Redazione Papaboys (Fonte www.donboscoland.it)
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