“Non dimenticateci!”: è la frase con cui vescovi, sacerdoti e fedeli di Mosul mi hanno salutato alla fine del mio viaggio nel Kurdistan lo scorso gennaio. Avevano subito le violenze e le minacce dello Stato islamico e messi davanti all’aut-aut – convertirsi all’islam o morire – hanno dovuto abbandonare la vita che si erano costruiti, fuggendo nel deserto per giorni, arrivando stremati e poveri ai campi profughi che in emergenza la Chiesa irakena ha approntato. In loro la povertà, l’aver abbandonato tutto, non è frutto di un’idea astratta di perfezione, ma la conseguenza del loro martirio (testimonianza): la fede è il bene più prezioso e vale la pena salvaguardarla anche a costo di perdere tutto.
La veglia di preghiera indetta dalla Conferenza episcopale italiana per la vigilia della Pentecoste, il 23 maggio, è un importante strumento per “non dimenticare”, per “unirci – come dice il comunicato – in un grande gesto di preghiera a Dio e di vicinanza con questi fratelli”. Attraverso questo semplice pregare, “rompiamo il muro dell’indifferenza e del cinismo, lontano da ogni strumentalizzazione ideologica o confessionale”.
In effetti il “muro dell’indifferenza e del cinismo”, il mutismo e l’inerzia tante volte denunciati da papa Francesco sono divenuti quasi una fortezza. Non bastano i 21 giovani copti sgozzati, le centinaia di giovani keniani uccisi, le centinaia di ragazze nigeriane rapite, i migranti gettati in mare, i vescovi rapiti, le chiese distrutte: il nostro mondo guarda, rabbrividisce (forse), poi volta lo sguardo dall’altra parte, continuando nella propria occupazione. Sembra talvolta che ci si muova e ci si scandalizzi più per gli agnelli uccisi a Pasqua o per la festa di Eid, che per i cristiani uccisi come “agnelli condotti al macello”. Ciò avviene proprio per quelle facili strumentalizzazioni di cui parla il comunicato dei vescovi italiani.
Vi è anzitutto una strumentalizzazione “confessionale”: si tende a bollare l’islam e tutto l’islam come causa delle persecuzioni dei cristiani. E si dimentica che da additare è l’islam fondamentalista, che pretende di “uccidere in nome di Dio” e non tutti i musulmani del mondo. Anzi, fra le vittime di questi fanatici dell’interpretazione letteralista del Corano vi sono anche molti musulmani, sunniti e sciiti. Così non si va oltre una stretta difesa del proprio modo di vivere occidentale, chiudendosi come in un castello merlato che lascia fuori altre culture e religioni.
Vi è pure una strumentalizzazione “ideologica”: si tende a parlare solo delle violenze dell’Isis, ma nessuno cita il terrore verso i cristiani esercitato dalla Corea del Nord, o i vescovi scomparsi nelle mani della polizia dell’Hebei in Cina, i sacerdoti arrestati, le chiese e le croci distrutte dai campanili; o i giovani vescovi come Taddeo Ma Daqin di Shanghai, costretto all’isolamento per essersi dimesso dall’Associazione patriottica, longa manus del Partito nella vita della Chiesa. Qui forse l’imperativo di buoni rapporti economici con il gigante cinese, la fa da padrone e rende muta la lingua di politici e membri della Chiesa.
La strumentalizzazione ideologica è ancora più raffinata quando guardiamo all’occidente. All’Europa sempre più post-cristiana sembra non interessare i cristiani. Forse anzi, se qualcuno li elimina, fa un “servizio”, un “piacere” a una società dove “l’io e le sue voglie” – come diceva Benedetto XVI – non vuole sentire la voce dei cristiani su famiglia, adozione, maschio e femmina, gender e anzi si bollano le posizioni dei cristiani come “intolleranti”. Non per nulla, anche in Italia, non sono tanto i musulmani che ce l’hanno coi cristiani per il presepio o la benedizione, ma il preside o il sindaco – che non è né cristiano, né musulmano – che pretende di costruire una scuola o una città in cui le identità religiose vengano soffocate e domini solo il potere politico che fa a meno della religione.
Mentre alla veglia del 23 maggio preghiamo per le vittime della persecuzione violenta, è importante pregare anche per le vittime di questo tipo di persecuzione relativista, e dobbiamo domandare ai martiri del Medio oriente, dell’Asia e dell’Africa di aiutare i cristiani d’occidente a testimoniare che la religione non è sinonimo di intolleranza, ma al contrario, solo la religione rende più umana la ragione. Del resto, a 70 anni dalla fine della guerra mondiale, c’è ancora bisogno di mostrare come le ideologie senza Dio uccidono l’uomo?
di Bernardo Cervellera per AsiaNews
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