Decisivo l’incontro con l’allora ministro Mogherini in un campo profughi in Libano. Ad accoglierla a Fiumicino una delegazione dell’Ime, l’Istituto mediterraneo di ematologia, che si occupa della ricerca e cura delle patologie ematologiche e che da diversi anni è presente in Libano al fianco delle popolazioni rifugiate. La ragazza potrà ricevere in Italia le cure necessarie per recuperare la vista
“Il mio sogno, un giorno, è di tornare a casa mia, in Siria. Anche se lì, adesso, non c’è nulla tranne le macerie”. Sanaa ha vent’anni, ed è una ragazza in fuga dalla guerra. Quando arriva all’aeroporto di Fiumicino in compagnia del padre Mohammed ha l’aria spaesata, come se tutto quel caos, tutta quella gente che corre la infastidisse. “È la prima volta che vedo un aeroporto così grande”, ammette mentre si guarda intorno. Ad accoglierla allo scalo romano, oltre a una mediatrice culturale, c’è una delegazione dell’Ime, l’istituto mediterraneo di ematologia, che si occupa della ricerca e cura delle patologie ematologiche e che da diversi anni è presente in Libano al fianco delle popolazioni rifugiate. In collaborazione con la onlus italiana Armadilla, l’Ime ha fatto sì che Sanaa potesse arrivare in Italia. Il suo, però, non è un viaggio di sola andata. Non è venuta in Italia per costruirsi una nuova vita. È qui solo per farsi curare, perché, a causa di una grave patologia agli occhi, rischia di perdere la vista.
Una vita senza luce. “Dall’età di 14 anni – racconta – ho iniziato ad avere problemi agli occhi. Non riuscivo più a leggere e mi dava fastidio anche la luce del sole”. Per colpa di questi problemi, Sanaa ha dovuto abbandonare gli studi. “Frequentavo il liceo di Homs e stavo per diplomarmi in Lettere. Il mio obiettivo era iscrivermi alla Facoltà di psicologia dell’Università di Damasco”. Ma i problemi alla vista, prima, e l’inizio del conflitto, poi, le hanno cancellato ogni speranza. La svolta per lei è arrivata grazie all’incontro con Federica Mogherini. L’ex ministro degli Rsteri, nominata Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, fece visita al campo profughi dove Sanaa si era trasferita insieme alla famiglia. “Quando i medici mi dissero che, se non volevo rimanere cieca, avrei dovuto operarmi – spiega Sanaa – chiesi al ministro di aiutarmi. E lei ha mantenuto la parola”. Grazie alla collaborazione fra il ministero degli Esteri e quello della Salute, infatti, Sanaa potrà ricevere in Italia le cure necessarie per recuperare la vista. E magari anche quella normalità che la guerra le ha strappato all’improvviso. “Ma una volta guarita – ci tiene a precisare – voglio tornare in Libano dalla mia famiglia”.
La fuga da Homs con i 9 fratelli. Sanaa ha 9 fratelli che l’aspettano, nella valle della Beqâ, dove si è rifugiata appena la sua città, Homs, ha iniziato a essere distrutta dalle bombe. “Nel 2011, quando è scoppiata la guerra – ci spiega il padre Mohammed – siamo dovuti scappare. Non c’era tempo per prendere le nostre cose o fare i bagagli. Così abbiamo lasciato Homs con addosso solo i nostri vestiti e ci siamo trasferiti in Libano”. E lì, nella valle del Beqâ, dove nell’antichità sorgeva il più grande granaio della Roma imperiale, la sua famiglia ha trovato ospitalità. Insieme ad altri rifugiati siriani, ha preso in affitto un terreno dove costruire una tendopoli. “Per pagare l’acqua, la luce e il gas – afferma il padre – io ho dovuto accettare ogni lavoro che capitava. In Siria ero un avvocato, qui invece ho fatto l’agricoltore e il trasportatore”.
La salvezza in Libano. A tre anni dall’inizio del conflitto siriano, sono ormai oltre quattro milioni i rifugiati siriani che hanno chiesto e ottenuto un riparo nei Paesi confinanti come Libano, Turchia e Giordania. Proprio in Libano, su una popolazione totale di circa quattro milioni di abitanti, sono ufficialmente presenti un milione e trecentomila rifugiati nei campi sotto il controllo dell’Alto Commissario per i rifugiati delle Nazioni Unite. Ma a questo numero vanno aggiunti altri 400mila profughi non iscritti nelle liste dei rifugiati, che cercano di sopravvivere nei territori libanesi. Per questo motivo il governo di Beirut, senza un presidente dal maggio 2014 e con il Parlamento prorogato fino al 2017, ha deciso di porre un freno alla politica dell’accoglienza. A partire da gennaio, infatti, i profughi siriani che cercheranno rifugio in Libano dovranno munirsi di visto, a condizioni praticamente impossibili per chi fugge dalla guerra. “Per fortuna questa norma non riguarda chi, come noi, si trova già in Libano – sottolinea il padre di Sanaa – altrimenti a quest’ora staremmo ancora vagando in cerca di una meta”. Adesso si trovano nella “Casa di Andrea” della Fondazione Tudisco onlus, dove lui e Sanaa verranno ospitati per tutta la durata del loro soggiorno. E mentre ringrazia una a una tutte le persone che la stanno aiutando, Sanaa dimostra che il dolore non è riuscito a scalfire i suoi progetti per il futuro: “Certo, voglio recuperare la vista e tornare al più presto dalla mia famiglia – ammette sorridendo – ma il mio sogno, prima o poi, è tornare nel mio Paese. Se finisce questa guerra che ha ucciso troppe persone”.
di Francesco Morrone per Agenzia Sir