Un anno fa si concludeva l’offensiva israeliana su Gaza, iniziata l’8 luglio per contrastare il lancio di razzi dalla Striscia da parte di Hamas, avviato a sua volta dopo il giro di vite deciso dallo Stato ebraico in seguito al rapimento e l’uccisione di tre adolescenti israeliani. 50 giorni di guerra hanno causato circa 2.200 vittime tra i palestinesi, tra cui 500 bambini, mentre tra gli israeliani hanno perso la vita 66 soldati e 5 civili, tra cui un bambino. Immani le devastazioni nella Striscia. Sulla situazione, ad un anno dall’entrata in vigore della tregua, ascoltiamo il parroco di Gaza, padre Mario Da Silva, della Congregazione del Verbo Incarnato, al microfono di Antonella Palermo per la Radio Vaticana:
R. – Dopo la guerra, sono stati promessi tanti soldi per la ricostruzione e ancora, un anno dopo, noi veramente non vediamo un grande lavoro in tema di ricostruzione. Governi come il Qatar, come gli Stati Uniti, hanno avuto problemi politici perché non sapevano se questi soldi sarebbero andati a questa o a quell’altra persona, se sarebbero andati a questo governo o a quell’altro: sono problemi veri, ma è già passato un anno e noi non vediamo lavori grossi per la ricostruzione. Cioè, le persone che hanno perso le loro case vivono ancora tra le macerie e i bambini vanno a scuola tra le macerie e tante scuole sono usate per coloro che hanno perso tutto. Nell’ultimo inverno alcuni bambini sono morti di freddo … Qui manca tutto: manca il cibo, manca il gas, perché in particolar modo dopo la guerra è stato un po’ chiuso tutto, anche dalla parte dell’Egitto e pure dalla parte di Israele: entrano meno cose e i prezzi sono altissimi!
D. – Come parrocchia, una volta alla settimana, andate ad aiutare le famiglie più disagiate …
R. – Quando arriva l’aiuto, per esempio, ora sono arrivati dall’Italia un centinaio di scatole con cibo, pasta, riso, allora noi andiamo lì a portarlo: è come una goccia d’acqua nel deserto. Ma loro sono contenti.
D. – E la comunità cristiana?
R. – La comunità cristiana ha un grande problema, qui. E’ un problema generale di mancanza di lavoro: la disoccupazione arriva fino al 40%, alcuni dicono fino al 45%, ma fra i cristiani è ancora più alta perché i cristiani sono una minoranza. Perché quando uno va a cercare lavoro e le persone vedono nel documento che è cristiano, preferiscono dare il lavoro a un loro fratello musulmano. E’ una condizione molto dura …
D. – Qual è il suo messaggio quotidiano, come religioso?
R. – Qui è un po’ difficile predicare il perdono, ma io comunque lo predico. Ma vedendo l’ingiustizia che c’è qui, il predicare sul perdono deve avere una forza speciale. Predicare l’amore al prossimo, predicare l’amore ai nemici: qui hanno una forza molto grande, è molto difficile, ma è anche la forza dei cristiani, qui. Uno vede un odio molto grande, perché vivono in un carcere, non possono uscire e non sanno perché. Questo genera un odio molto grande. E i cristiani hanno il vantaggio che nelle nostre prediche c’è sempre il perdono, c’è sempre l’amore al prossimo e anche l’amore per i nemici, e questo è un vantaggio molto grande: che fra i cristiani possiamo mitigare questo odio.
D. – Quali sono i suoi auspici su Gaza?
R. – Quello che noi ci auguriamo – anche in politica – è solo un miracolo. Perché non si vedono vie d’uscita a questi problemi. La fine del tunnel non la vediamo … Allora, quello che aspettiamo è solo un miracolo. Quello che vogliamo noi, e parlo a nome dei palestinesi, dei cristiani e dei musulmani che qui vivono, è un diritto essenziale per ogni uomo, che è la libertà. La libertà di andare in altri posti: visto che la vita qui è molto difficile, si chiede la libertà di andare in un altro posto. E la libertà di religione, pure, di praticare la mia religione, quella che io ho ricevuto dai miei genitori e quella che io liberamente professo: chiediamo pure quello, la libertà di religione. La libertà è un diritto essenziale per ogni uomo.
D. – Le minacce da parte dello Stato islamico, quanto vi spaventano?
R. – I cristiani si sono spaventati, molto: sull’edificio della Caritas è apparso un simbolo del sedicente Stato islamico, è stato fatto qualche attentato, hanno avuto problemi con il governo di Gaza e i cristiani ci chiedevano: “Padre, ma se arriva l’Is e se diventa forte – perché sappiamo che la presenza c’è già! – che cosa faremo noi?”. E dicevano anche: “Padre, almeno in Siria, se arriva l’Is, loro possono fuggire da un’altra parte, in un altro Stato; ma se arrivano qui, a Gaza, che cosa faremo noi se non possiamo passare dal muro che ci separa da Israele? Dove andremo?”.
A cura di Redazione Papaboys fonte: Radio Vaticana