Una domenica di sangue segna il terzo giorno dell’offensiva israeliana nella Striscia: 120 palestinesi sono morti, per un totale complessivo di circa 508 vittime e più di 3.150 feriti dall’inizio del conflitto. Stando a quanto riferito dal portavoce dei servizi sanitari di Gaza, oltre un terzo delle vittime sono donne e bambini.
L’evento più tragico a Sajaya, popoloso rione a ridosso di Gaza City, dove domenica sotto i bombardamenti israeliani sono morte oltre 60 persone, di cui 17 bambini e 14 donne. Il mondo arabo all’unisono è insorto definendolo “un massacro”, “un crimine di guerra”, e chiedendo alla comunità internazionale di intervenire subito.
Israele – che ha riconosciuto la perdita di 13 soldati nelle operazioni, per un totale di 18 morti dall’inizio dell’invasione, ha respinto le accuse sostenendo che da quella zona della Striscia sono partiti 140 razzi verso lo Stato ebraico. E ha ricordato di aver più volte avvisato la popolazione civile di allontanarsi dall’area. Tel Aviv smentisce inoltre il rapimento di un soldato da parte di Hamas. Il premier Benjamin Netanyahu si è scagliato contro Hamas che ha accusato di usare “i suoi civili per proteggere i suoi missili, come scudi umani”, mentre “Israele usa i missili per proteggere i civili”. Poi ha ribadito che Israele “completerà la missione” fino a che la quiete non sarà ripristinata nel sud e nel centro del Paese.
Di fronte ai fatti di Sajaya le parti hanno aderito ad una richiesta di tregua umanitaria, prima interrotta perché Hamas – secondo Israele – ha continuato a tirare razzi sullo Stato ebraico. In quel lasso di tempo si sono aiutati i feriti e recuperati i cadaveri.
A fianco di Israele restano sempre gli Stati Uniti. Anche se domenica sera il presidente Barack Obama ha telefonato Netanyahu per sollecitare un “cessate il fuoco”. Il segretario di Stato John Kerry – che lunedì è al Cairo per favorire le trattative diplomatiche – ha detto che Israele “è sotto assedio di un’organizzazione terroristica” e che ha “ha tutti i diritti del mondo di difendersi”. Ma, senza accorgersi del microfono aperto durante il colloquio, si è poi lasciato sfuggire: “Altro che operazione di precisione. L’escalation è significativa. Dobbiamo agire subito, ora”.
Dal canto suo il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, giunto in Qatar, nuovo crocevia diplomatico in questi giorni, ha parlato dal canto suo di “atrocità” a Gaza, chiedendo a Israele di “fare di più” per salvaguardare la vita dei civili. Per il segretario generale della Lega Araba, Nabil el-Araby, i bombardamenti sono stati “barbari” e l’attacco contro Sajaya a Gaza è un “crimine di guerra” contro i civili. “Un’escalation pericolosa”, ha aggiunto, che lascia presagire “conseguenze nefaste”. Stessa condanna da parte del presidente palestinese Abu Mazen, che a Doha ha incontrato il capo in esilio di Hamas Khaled Meshaal ai fini di una possibile tregua e vedrà poi Ban.
La diplomazia internazionale tuttavia non è ancora riuscita ad imboccare il verso giusto per giungere alla tregua invocata anche da papa Francesco. E il ministro italiano Federica Mogherini ha di nuovo chiesto che “le armi tacciano”.
La situazione nella Striscia è al collasso: l’organizzazione dei rifugiati dell’Onu Unrwa ha riferito di 62mila sfollati a Gaza (ma fonti locali parlano di 80mila) che hanno trovato posto in 49 scuole dell’agenzia.
Un asilo della cooperazione italiana – denuncia la ong Vento di terra – è stato “raso al suolo” dall’esercito israeliano. Mentre un fiume di cadaveri è giunto domenica all’ospedale Shifa di Gaza dopo il bombardamento di Sajaya e in città si susseguono i cortei funebri. Infine l’Egitto – protagonista con il Qatar della possibile mediazione per la tregua – ha annunciato di aver riaperto il valico di Rafah con la Striscia per gli aiuti ai feriti. Una scelta che si muove in direzione di una delle richieste più pressanti di Hamas.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu, riunito d’urgenza, ha espresso “forte preoccupazione per il crescente numero di vittime civili” nel conflitto a Gaza, rinnovando il suo appello a “cessare immediatamente il fuoco”. “I membri del Consiglio di sicurezza esprimono grave preoccupazione per il crescente numero di vittime e chiedono un’immediata cessazione delle ostilità”, ha dichiarato il presidente di turno del Consiglio, l’ambasciatore ruandese Eugene Richard Gasana. I 15 paesi membri hanno chiesto di “tornare all’accordo di cessate il fuoco del novembre 2012” tra Israele e Hamas e hanno sollecitato “il rispetto delle leggi umanitarie internazionali, in particolare per la protezione dei civili”, sottolineando “la necessità di migliorare la situazione umanitaria” nella Striscia di Gaza. Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon è in missione in Medio Oriente. Dopo la tappa di domenica in Qatar, lunedì è atteso al Cairo, dove incontrerà il presidente Abdel Fattah ah-Sisi. Nella capitale egiziana ci sarà anche il segretario di Stato americano John Kerry.
Intanto, altre vittime del conflitto si registrano nel sud di Israele: più di 10 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano dopo essere riusciti a infiltrarsi nel territorio. Lo ha riferito l’esercito. “I terroristi di Hamas si sono infiltrati in Israele attraverso due tunnel dal nord di Gaza. L’esercito li ha intercettati e hanno ucciso più di 10 terroristi”, ha scritto il colonnello Peter Lerner sull’account Twitter.
Lunedì mattina le località israeliane situate in prossimità della Striscia di Gaza sono state poste in stato di allerta e gli abitanti invitati a non uscire di casa. Si tratta di una procedura di allerta adottata in caso di sospette incursioni palestinesi.